Artikel vom 14. August 2008 © 2008 fhi ISSN 1860-5605 Erstveröffentlichung |
Zitiervorschlag / Citation:
http://www.forhistiur.de/zitat/0808gialdroni.htm |
Stefania Gialdroni:Il law merchant nella storiografia giuridica del Novecento:
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La vivacità del dibattito storiografico novecentesco sulla questione dell’esistenza o meno, nel medioevo e nell’età moderna, di un diritto proprio della classe mercantile, transnazionale e per lo più consuetudinario, legittima l’inserimento del tema della lex mercatoria tra i “classici” degli studi storico-giuridici1. Premesso che buona parte della letteratura qui presa in considerazione si riferisce principalmente alla storia del law merchant (o lex mercatoria)2 dalla prospettiva dell’Inghilterra, è possibile individuare quattro periodi nei quali la discussione è stata particolarmente movimentata: il primo periodo va dall’inizio del Novecento alla prima guerra mondiale, il secondo dalla fine degli anni Venti alla seconda guerra mondiale, il terzo dall’entrata in vigore del Sistema monetario europeo ai primi anni Novanta e il quarto, infine, si è sviluppato soprattutto nel corso degli ultimi dieci anni. |
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L’interesse suscitato dall’argomento nei primissimi anni del Novecento è probabilmente riconducibile all’influenza della storiografia giuscommercialistica tedesca ed in particolare al successo dell’opera di Levin Goldschmidt3, il quale, pur essendo un acceso sostenitore della necessità di un codice commerciale tedesco4, credeva fermamente nell’universalità del diritto commerciale5 e nella possibilità che esso conservasse la sua natura cosmopolita anche nel processo di codificazione6. Nel 1904, William Mitchell scriveva ad esempio: “My debt to previous writers (…) and above all Goldschmidt- is evident in every page”7. |
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Dopo l’inevitabile interruzione della guerra tornava, con rinnovato vigore, l’interesse per la storia del diritto dei mercanti8. Rispetto alla prima “ondata” si nota, negli autori che scrissero nel primo dopoguerra, una tendenza accentuata a voler fare della lex mercatoria un diritto (se possibile) ancora più universale, comune alle popolazioni europee e a quelle asiatiche. Questo orientamento è forse ascrivibile alla fiducia riversata nelle organizzazioni internazionali per il coordinamento del commercio in un momento in cui inflazione, scarsità di merci e diffusione di cartelli nazionali avevano portato a criticare sia la teoria del libero mercato che il controllo esclusivamente statale sull’attività economica9. |
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Il terzo periodo d’intensa ripresa degli studi sulla lex mercatoria seguiva immediatamente l’introduzione del Sistema monetario europeo nel 1979. L’ambito di diffusione di un diritto comune dei mercanti nel medioevo e nell’età moderna veniva però limitato al contesto europeo. Faceva eccezione la posizione assunta da John Hamilton Baker, il quale, in un articolo pubblicato proprio nel 197910, ribaltava la classica teoria dell’“incorporazione” del law merchant all’interno del common law, facendo del diritto mercantile una vera e propria creazione delle common law courts. Tale impostazione portava evidentemente a negare la presunta internazionalità del diritto dei mercanti nel medioevo e nell’età moderna. |
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A più di venticinque anni dall’intervento “rivoluzionario” di Baker, la maggior parte degli autori, siano essi sostenitori oppure oppositori della teoria dell’”incorporazione”, sembra concordare (ormai da circa un decennio) almeno su un punto: la lex mercatoria, se davvero è esistita, va ridimensionata entro i confini dell’Inghilterra. |
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1. Il primo periodo |
L’evoluzione delle posizioni dottrinali può prendere le mosse da due articoli pubblicati rispettivamente nel 1902 e nel 1903 sulle pagine della Columbia Law Review e intitolati significativamente: What is the Law Merchant? |
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Da questa domanda, infatti, è opportuno iniziare. |
Francis M. Burdick, autore del primo saggio, scriveva con l’intento di verificare se il law merchant fosse davvero un corpo di norme giuridiche o se fosse semplicemente una frase priva di contenuto11. Secondo Burdick si trattava certamente di un true body of law, un vero e proprio corpo di norme distinto dal common law, come il civil law o il diritto canonico, chiaramente presente già nei tribunali mercantili dell’Inghilterra medievale12<, caratterizzati, tra l’altro, da una particolare speditezza procedurale, come ripetutamente confermato dall’indiscutibile autorità di giuristi come Edward Coke e William Blackstone. |
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I mercanti, insomma, erano uomini d’azione, che non potevano attendere i tempi lunghissimi delle corti di common law: essi non solo pretendevano giustizia, ma pretendevano che questa giustizia fosse rapida13. Se da un lato lo Statute of the Staple, del 1353, imponeva chiaramente di giudicare i mercanti sulla base del law merchant, molti sarebbero gli esempi a sostegno della tesi secondo la quale nel medioevo il law merchant sarebbe stato considerato come un corpo di norme sostanziali e non solo procedurali14. Burdick citava a sostegno della sua tesi numerosi autori: da Malynes15 a Godolphin16, da Zouch17 a Prynne18, tutti attivi nel XVII secolo. Si tratta, infatti, di un secolo di svolta nella storia del law merchant in Inghilterra. Se l’esistenza di un diritto consuetudinario proprio dei mercanti sembrava confermato, nella ricostruzione di Burdick, non solo dall’autorità dei giuristi, ma anche da alcuni statuti reali e dalla procedura delle corti mercantili, la questione si faceva più controversa nel momento in cui si prendeva in considerazione la scomparsa dei tribunali mercantili e il graduale assorbimento delle cause tra mercanti da parte delle corti di common law. I giudici, ora, non venivano più scelti sulla base della loro conoscenza del law merchant (come accadeva quasi sempre nelle Staple Courts) e le giurie non erano composte di mercanti: il law merchant doveva essere provato di volta in volta, come fosse il diritto di un altro paese. Stando a Burdick, questo stato di confusione ebbe dei limiti cronologici precisi: dalla nomina di Coke a Lord Chief Justice della corte di Common Pleas (1606), alla nomina di Lord Mansfield a capo del King’s Bench (1756)19. Non a caso, è a questo periodo che risalgono due avvenimenti fondamentali nella storia del law merchant: da un lato la “vittoria” di Lord Bacon su Lord Coke20, in conseguenza della quale la giurisdizione della Court of Chancery sarebbe divenuta particolarmente estensiva e capace di comprendere al suo interno le cause mercantili; dall’altro l’attività di Lord Mansfield, esperto di civil law, desideroso di soddisfare l’esigenza di mercanti e banchieri di vedere riconosciute in giudizio le proprie consuetudini, che, dall’attenta lettura delle opere di giuristi stranieri, avrebbe scoperto che molte di queste consuetudini erano comuni ai mercanti di tutta Europa21. |
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Da allora le norme del law merchant e quelle del common law, applicate nei medesimi tribunali, ed in particolare nella Court of Chancery, si sarebbero andate amalgamando. Il riconoscimento dell’esistenza di un corpo di norme separato avrebbe quindi portato, paradossalmente, alla completa integrazione di tali norme nel corpo del common law, attraverso, in particolare, l’attività della Court of Chancery, dove molte norme del law merchant avrebbero fatto il loro ingresso “mascherate” da “creature dell’equity”22. La ricostruzione di Burdick ometteva però la fase intermedia che, secondo Sir William Holdsworth, segnò il passaggio dall’applicazione del law merchant nelle corti mercantili locali all’assorbimento dello stesso nel common law, ovvero la fase della definitiva affermazione della Court of Admiralty23. |
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A soli cinque mesi dalla pubblicazione dell’articolo di Francis M. Burdick, John S. Ewart reagiva polemicamente alla sua definizione del law merchant in quanto true body of law. Ewart, pur dovendo ammettere la correttezza di molte delle affermazioni di Burdick, come l’esistenza di speciali corti mercantili e di procedure differenti rispetto a quelle delle corti di common law, affermava con decisione che, prima del fondamentale contributo di Lord Mansfield, non esisteva altro se non un eterogeneo insieme di consuetudini asistematiche, impossibili da identificare come corpo di leggi, tanto sconosciute ai giudici di common law da dover essere provate caso per caso24. |
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Se il dibattito tra Burdick ed Ewart era concentrato sul rapporto tra law merchant e common law, nei primi anni del Novecento cominciò anche a diffondersi una certa tendenza degli studi storico-giuridici (che si affermò pienamente solo negli anni Venti) ad estendere le ricerche per periodi di tempo molto lunghi, con il risultato di astrarre l’oggetto dell’indagine dalle dinamiche della storia. |
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Nel ricostruire l’evoluzione del law merchant (questa volta inteso sicuramente come diritto comune ai mercanti di tutta Europa) William Mitchell individuava ad esempio una costante tendenza all’uniformità di tale diritto nell’Europa medievale, dalla Francia alla Germania, dall’Inghilterra alla Spagna. La natura internazionale del commercio e le esigenze comuni dei mercanti avrebbero trovato nella concettualizzazione dei principi giuridici e negli usi dei mercanti italiani, l’ingrediente necessario all’uniformazione. In questo processo avrebbero avuto grande influenza sia il diritto canonico (si pensi all’idea della rappresentanza, ai contratti atipici, alle cambiali, alla rapidità delle procedure, all’equità e alla buona fede, solo per fare degli esempi), sia il diritto romano, che avrebbe trovato il suo spazio tanto nel Libre del Consolat de Mar (probabilmente XIV sec.), quanto nella Court of Admiralty (nella quale veniva applicato il civil law), quanto, ovviamente, nei tribunali comunali italiani come diritto sussidiario richiamato esplicitamente negli statuti mercantili. Questa uniformità, però, costituiva, secondo Mitchell, una caratteristica della storia medievale e venne meno, lentamente, tra XVI e XVII secolo, quando cominciarono ad affermarsi gli stati nazionali con le loro nuove legislazioni che assorbirono, e contemporaneamente, sembrerebbe, smembrarono il law merchant25. |
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2. Il secondo periodo |
Alla tendenza ad allargare i confini cronologici del law merchant si aggiunse, negli anni Venti, quella ad ampliarne enormemente anche il raggio d’efficacia geografico. Nel 1923, Wyndham Anstis Bewes cominciava il secondo capitolo del suo “romanzo del law merchant” sottolineando l’uniformità delle consuetudini mercantili, dal medioevo alle codificazioni ottocentesche, e individuando gli elementi distintivi del law merchant nella buona fede e nella rapidità, riferendosi, presumibilmente, alla procedura dei tribunali dei mercanti. Queste due peculiarità sono quelle tradizionalmente accettate dalla dottrina. L’originalità dell’autore, rispetto agli altri precedentemente citati, stava sicuramente nel voler allargare l’area di applicazione del law merchant ai paesi arabi e a quello che lui chiamava il diritto maomettano (Muhammadan law), al quale la tradizione occidentale sarebbe debitrice, se non altro, di istituti fondamentali come quello della cambiale e quello della società in accomandita26. Bewes arrivava a citare ripetutamente Khalil ibn Ishak, secondo cui i primi giuristi mussulmani avrebbero tratto a loro volta ispirazione dal diritto romano, ed in particolare dalle Leggi delle Dodici Tavole27, teorizzando così un continuo scambio di regole e idee non solo all’interno dell’usuale teatro dell’Europa occidentale, ma anche tra (vicino) Oriente ed Occidente. |
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Sempre agli anni Venti del Novecento risale l’articolo di Charles Kerr, il quale riprendeva e sviluppava l’idea già espressa da Bewes, che le origini del law merchant fossero antichissime e comuni all’Occidente e all’Oriente, perdendosi in un’epoca remota, anteriore alle civiltà greca e romana. Sembra di sentir riecheggiare le parole del mercante Gerard Malynes che, nel suo trattato Consuetudo vel Lex Mercatoria (pubblicato per la prima volta a Londra nel 1622), faceva risalire ad Abramo l’origine della lex mercatoria28, quando Kerr accennava all’epoca di re Salomone e alle (dis)avventure di altri personaggi biblici, andando così ben oltre i limiti cronologici della riflessione di Bewes. Come forse nessun altro autore, Kerr, nel tracciare la sua storia del law merchant, individuava una fortissima continuità tra le regole sviluppate dai mercanti asiatici (dai Babilonesi, agli Arabi, ai Fenici, ai Cinesi) due millenni prima dell’era cristiana e quelle diffusesi nel medioevo, europeo e non, a partire dall’epoca delle Crociate, che avrebbero portato, curiosamente, ad un avvicinamento tra Oriente e Occidente, aprendo la porta alla ripresa dei rapporti commerciali. Un “codice commerciale” e quello che noi oggi chiamiamo “diritto internazionale” erano per Kerr la diretta conseguenza del movimento di riconquista della Terrasanta29. |
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Passando direttamente al basso medioevo, Kerr spiegava che ad amministrare le cause mercantili erano allora solitamente i tribunali ecclesiastici che, caratterizzati da una procedura particolarmente informale, riconoscevano senza problemi il principio della buona fede, tanto caro al mondo mercantile. Il problema è capire cosa intendesse per “allora”, data la generica mancanza di riferimenti spazio-temporali accettabili. |
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Se il germe di quello che sarebbe poi diventato (grazie al lavoro di Lord Holt30 e di Lord Mansfield) il law merchant inglese, si trovava, secondo Kerr, già nella Magna Charta31, l’epoca “romantica” del law merchant finì con il regno di Edoardo I (durante il quale vennero emanate, mediante Acts of Parliament, norme precise in materia contrattuale e non solo), ed in particolare con la sua Carta mercatoria, che stabilì che tutte le controversie coinvolgenti mercanti stranieri dovessero essere risolte sulla base dei costumi delle fiere e dei mercati nei quali era stato stipulato il contratto32. Fu attraverso questo atto che la dottrina del lex loci contractus sarebbe divenuta parte del common law e che il law merchant, importato dal continente, dove si era sviluppato prevalentemente nelle fiere medievali, avrebbe cominciato ad essere amministrato nelle corti di common law, quando in altri paesi il diritto commerciale continuava ad essere amministrato da tribunali speciali. Ancora una volta, veniva sottolineato come la vera svolta nella storia della lex mercatoria in Inghilterra fosse stata determinata dall’attività di Lord Mansfield, da molti accusato di aver quasi creato “da solo” (nell’ambito di un sistema giuridico -ricordiamo- basato sul precedente giurisprudenziale) il diritto commerciale inglese. Come ha giustamente sottolineato Lucy Stuart Sutherland, però, egli non avrebbe mai potuto raggiungere il suo scopo se non avesse potuto contare su tre fattori: una forte esigenza sociale, la volontà delle corti di seguire la sua guida e un corpo consistente di norme consuetudinarie, frutto di una lunga tradizione33. La riflessione dell’autrice si distingue da quella dei suoi contemporanei non solo nel suo ridimensionare notevolmente l’importanza del law merchant nell’età di mezzo, ma anche nell’omettere qualunque riferimento all’Oriente o a tradizioni che risalgano a prima del medioevo. Pur ammettendo l’esistenza di consuetudini transnazionali in materia (ad esempio) societaria o contrattuale, riconosciute nei porti e applicate in speciali tribunali in tutta Europa, affermava infatti Stuart Sutherland che l’idea di un diritto privato internazionale proprio dei mercanti non era figlia del medioevo, ma piuttosto una creazione più tarda, che si poteva far risalire alle opere di Benvenuto Stracca e Sigismondo Scaccia e che fiorì davvero solo nel XVII secolo, insieme al concetto di diritto internazionale, proprio nel momento in cui in Inghilterra le consuetudini mercantili stavano per essere assorbite all’interno del common law34. |
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3. Il terzo periodo |
Il silenzio calato sul tema della lex mercatoria veniva rotto, negli anni Cinquanta, da Berthold Goldman e dalla “Scuola francese”, che fece propria l’espressione per indicare il fenomeno contemporaneo dell’uniformazione della prassi commerciale internazionale35. Per quanto riguarda, invece, la storia della lex mercatoria, non sembra essere un caso che si cominciasse di nuovo a scrivere diffusamente di una tradizione giuscommercialistica comune, quantomeno ai paesi europei, poco dopo il 1979, anno che segnò l’entrata in vigore del Sistema monetario europeo. Due anni dopo, ad esempio, nel 1981, Helmut Coing e Knut Wolfgang Nörr si rivolsero ad alcuni dei più importanti storici del diritto attivi in Europa e negli Stati Uniti, lamentando il fatto che, fino ad allora, gli studi storico-giuridici si erano limitati all’analisi dell’evoluzione del diritto all’interno di tre grandi “famiglie”: quella germanica (nel medioevo), quella del ius commune romano-canonico e quella del common law (da entrambe le sponde dell’Atlantico). Questo, si diceva, era dovuto principalmente alla difficoltà di accesso alle fonti. Era venuto però il momento di dare maggiore peso agli studi comparatistici di storia del diritto e, uno dei campi da approfondire, era quello del diritto commerciale. Da qui, si arrivò all’International Colloquium on Anglo-American and Continental Legal History, svoltosi a Bad Homburg nel 1982, che portò, tra l’altro, alla pubblicazione, nel 1985, di un quaderno intitolato: Englische und kontinentale Rechtsgeschichte: Ein Forschungsprojekt, con contributi di studiosi del calibro di John Hamilton Baker, Antonio Padoa Schioppa, Charles Donahue Jr., Peter Stein e Vito Piergiovanni36. Gli editori, però, non pensavano di incoraggiare gli studi storico-comparatistici al fine di indagare le possibili basi comuni di un futuro diritto privato della Comunità Europea, o se lo pensavano, non lo scrivevano. Se ne occuparono, pochi anni più tardi, gli editori della Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, i quali così ne descrivevano lo scopo: „Es soll Aufgabe dieser Zeitschrift sein, das Bewußtsein für die europäischen Gemeinsamkeiten im Privatrecht über die sprachlichen und staatlichen Grenzen hinweg zu stärken und das allgemeine Privatrecht als einen Dreh- und Angelpunkt der widerentstehenden europäischen Rechtsordnung zu etablieren“.37 |
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La rivista si apriva quindi con un articolo di Reinhard Zimmermann38 sul tema delle possibili analogie tra il sistema di civil law e quello di common law, affermatosi, secondo alcuni, “nobilmente isolato” rispetto all’Europa continentale39. Nell’indagare il “carattere europeo del diritto inglese”, Zimmermann non trascurava nulla: dalle origini normanne, al ruolo del diritto canonico, a quello dei civilians, a quello della lex mercatoria. L’articolo concordava, nella sostanza, con le tesi sostenute da Leon E. Trakman nella sua monografia dedicata al law merchant40. Secondo quest’ultimo, esisteva nel medioevo una lex mercatoria -fondata sul principio della buona fede e sulla rapidità, e quindi informalità, delle transazioni e delle procedure- nell’Europa delle fiere, dei mercati e dei porti. Dal punto di vista sostanziale, il diritto dei mercanti, prevalentemente consuetudinario, trovava una base normativa comune in testi legislativi tanto diffusi quanto disomogenei per provenienza e datazione, come la Lex Rhodia, i Roles d’Olerón e il Libre del Consolat de Mar. Dal punto di vista giurisdizionale, esistevano ovunque tribunali mercantili, presieduti da mercanti, che conoscevano e applicavano le proprie consuetudini. In molti casi esse erano espressamente richiamate negli statuti cittadini41. Questa uniformità sarebbe venuta meno alla fine del medioevo: la maggiore complessità delle transazioni, derivante anche dall’espandersi dei mercati, avrebbe provocato un aumento della legislazione. Le differenze culturali aumentarono con l’affermarsi degli stati nazionali. La lex mercatoria, però, non scomparve nel nulla; semplicemente i suoi principi furono assorbiti dalle varie legislazioni nazionali42. Alla stessa conclusione sembrava arrivare Zimmermann, anche se questi attribuiva più importanza alla limitazione delle competenze dell’Admiralty ad opera di Coke e dei suoi successori, approfondendo il tema cruciale del diritto processuale43. |
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4. Oggi |
Tutti i contributi presi in considerazione fino a questo punto (o almeno quelli che ammettono l’esistenza di una lex mercatoria), nonostante le peculiarità di ognuno, sono espressione di quella che è stata definita la teoria “convenzionale”, ovvero la teoria dell’“incorporazione”: il law merchant avrebbe costituito un sistema normativo autonomo solo fino al XVII secolo, quando le cause mercantili non venivano giudicate nelle corti di common law ma in speciali tribunali presieduti da mercanti44. Solo in seguito alla decadenza di questi tribunali, il law merchant sarebbe stato incorporato nel common law. Contro questa ipotesi si è schierato, nel 1979, John Hamilton Baker, con un articolo che si distingue per precisione, originalità e schematicità45. Precisione nell’analisi dei casi giurisprudenziali; originalità nel ritenere il law merchant una vera e propria creazione delle corti di common law46 che- sosteneva Baker- avevano sempre accolto le controversie di carattere mercantile; schematicità nella descrizione delle posizioni dottrinarie. La conclusione secondo cui il law merchant “was in reality nothing other than a refinement of the common law which had always governed mercantile affairs”47, riportava in un certo qual modo l’attenzione sul rapporto tra law merchant e common law, su quel rapporto, cioè, che Burdick ed Ewart avevano indagato nell’inaugurare il dibattito novecentesco sul tema della lex mercatoria sulle pagine della Columbia Law Review. |
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Assolutamente in controtendenza all’epoca della sua prima elaborazione, la teoria di Baker ha incontrato col tempo sempre maggiori consensi (si pensi alle considerazioni di James Steven Rogers sulla storia del diritto societario48), fino ad inserirsi senza fatica nella riflessione storico-giuridica contemporanea. Tale analisi, infatti, integra la tendenza -affermatasi particolarmente nell’ultimo decennio anche e sopratutto fuori dai confini del Regno Unito49- a negare l’universalità della lex mercatoria e a farne piuttosto “una costruzione tutta di stampo anglosassone”50. |
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Nell’arco di circa cento anni, quindi, il cerchio, in un certo senso, si è chiuso: un ritorno più puntuale allo studio delle fonti ha portato diversi autori ad abbandonare l’idea di una lex mercatoria europea (o addirittura mondiale) e a concentrare l’attenzione sul rapporto tra common law e law merchant. |
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Note in calce 1 In particolare per l’età moderna si veda: F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review” 2.7 (1902), pp. 470-485; J.S. Ewart, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 3.3 (1903), pp. 135-154; W. Mitchell, An Essay on the Early History of the Law Merchant, Cambridge, 1904; W.A. Bewes, The Romance of the Law Merchant. Being an Introduction to the Study of International and Commercial Law with Some Accounts of the Commerce and Fairs in the Middle Ages, London/Littelton: Colorado, 1986 (1923); C. Kerr, The Origin and Development of the Law Merchant, in “Virginia Law Review”, 15.4 (1929), pp. 350-367; L. Stuart Sutherland, The Law Merchant in England in the Seventeenth and Eighteenth Centuries, in Transactions of the Royal Historical Society , s.l., 1934, pp. 149-176; J.H. Baker, The Law Merchant and the Common Law before 1700, in “The Cambridge Law Journal”, 38 (1979), pp. 295-322; L.E. Trakman, The Law Merchant: The Evolution of Commercial Law, Littleton: Colorado, 1983; Comparative Studies in Continental and Anglo-American Legal History, Band 1: Englische und kontinentale Rechtsgeschichte: Ein Forschungsprojekt, hrsg. von H. Coing und K. W. Nörr, Berlin, 1985; R. Zimmermann, Der europäische Charakter des englischen Rechts. Historische Verbindungen zwischen civil law und common law, in “Zeitschrift für europäisches Privatrecht” (ZEP), 1 (1993), pp. 4-51; Del ius mercatorum al derecho mercantil, III Seminario de Historia del Derecho Privado: Sitges, 28-30 de mayo de 1992, ed. C. Petit, Madrid, 1997; M.E. Basile, J.F. Bestor, D.R. Coquillette, C. Donahue Jr., Lex Mercatoria and Legal Pluralism: A Late Thirteenth-Century Treatise and its Afterlife, Cambridge, 1998; O. Volckart, A. Mangels, Are the Roots of the Modern Lex Mercatoria Really Mediaeval?, in “Southern Economic Journal”, 65 (1999), pp. 427-450; F. Migliorino, Mysteria concursus. Itinerari premoderni del diritto commerciale, Milano, 1999; A. Cordes, Auf der Suche nach der Rechtswirklichkeit der mittelalterlichen Lex Mercatoria, in „Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS) Germ. Abt.“, 118 (2001), pp. 168-184; K.O. Scherner, Lex mercatoria- Realität, Geschichtsbild oder Vision?, in ZSS Germ. Abt., 118 (2001), pp. 148-167; K.D. Lerch, Vom Kerbholz zur Konzernbilanz? Wege und Holzwege zu einem autonomen Recht der global economy, in „Rechtgeschichte“, 5 (2004), pp. 107-127; M. Fortunati, La lex mercatoria nella tradizione e nella recente ricostruzione storico giuridica, in „Sociologia del diritto“, 2/3 (2005), pp. 29-41; N.H.D. Foster, Foundation Myth as Legal Formant: The Medieval Law Merchant and the New Lex Mercatoria, in http://www.forhistiur.de/zitat/0503foster.htm; From Lex Mercatoria to Commercial Law, ed. by V. Piergiovanni, Berlin, 2005. 2 Secondo Nicholas H.D. Foster „It has become traditional to use “lex mercatoria” rather than “law merchant” when speaking of the new phenomenon. It therefore seems logical to use “law merchant” when referring to its alleged precursor”: http://www.forhistiur.de/zitat/0503foster.htm, par. 7. Quindi lex mercatoria verrebbe usato per indicare il fenomeno del diritto commerciale transnazionale contemporaneo e law merchant per indicare il suo corrispettivo nel medioevo e nell’età moderna. Qui le due espressioni verranno intese come sinonimi, stando ad una consolidata tradizione anglosassone, che si può far risalire almeno al fortunato trattato di Gerard Malynes, Consuetudo vel Lex Mercatoria: or, The Ancient Law Merchant (London, 1622). 3 L. Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, Stuttgart, 1891. Un altro esempio della stessa tendenza a ricercare nella storia del diritto commerciale medievale e moderno l’origine degli istituti giuridici contemporanei, collegando fenomeni molto lontani nel tempo e nello spazio, si ha in: K. Lehmann, Das Recht der Aktiengesellschaften, Band I-II, Berlin, 1898-1904. 4 Vedi ad esempio: L. Goldschmidt, Über die wissenschaftliche Behandlung des deutschen Handelsrechts und den Zweck der Zeitschrift für das gesammte Handelrecht (1858), in Vermischte Schriften von L. Goldschmidt, Band 2, Berlin, 1901, pp. 1-25. 5 “Seine [il soggetto è il diritto commerciale nella sua evoluzione storica] charakteristischen Eigenschaften sind im Gegensatz zum gemeinen bürgerlichen Recht die grössere Freiheit, Beweglichkeit, endlich das höhere Maass universaler (kosmopolitischer) Geltung“: L. Goldschmidt, Handelsrecht (geschichtliche Entwicklung) (1892), in Vermischte Schriften, op. cit., pp. 27-52, p. 29. 6 “Immerhin haben selbst die Kodifikationen, welche das bisherige gemeine Recht und Gewohnheitsrecht völlig ausschlossen, auf die Dauer die naturgemäss kosmopolitische Entwicklung des Handelsrechts nicht verhindert, indem das fremde Gesetz vielfach vorbildlich benutzt oder gar kopirt und so mittelst gegenseitiger Entlehnung ein Stamm gemeinsamen Rechts geschaffen wurde”: ivi, pp. 46-47. 7 W. Mitchell, An Essay on the Early History of the Law Merchant, Cambridge, 1904, Preface. 8 La tragedia della guerra porta in alcuni casi a riflessioni esplicite sull’opportunità di ripensare il diritto in termini “universali”. Si veda ad esempio: J. Stern, Der Universalgedanke im Recht, Berlin, 1926. 9 “New internationalists like Arthur Salter, E.M.H. Lloyd, and Alfred Zimmern, turned the lesson of inter-allied controls into a general argument for international organizations as networks of coordination. (…) The critique of free trade as a system of global integration was complemented by a critique of the nation-state. States, Zimmern argued, had become too centralized and overburdened, able to meet neither the challenges of organized international capital and ethnic migration nor the problem of democratic deficit at a local level. The nation-state had been a catastrophic error of modern history (…)”: F. Trentmann, National Identity and Consumer Politics: Free Trade and Tariff Reform, in The Political Economy of British Historical Experience, 1688-1914, ed. by D. Winch & P.K. O’Brien, Oxford, 2002, pp. 215-242, p. 239. 10 J.H. Baker, The Law Merchant and the Common Law before 1700, in “The Cambridge Law Journal”, 38 (1979), pp. 295-322. 11 “The object of the present article is to inquire whether the Law Merchant ought to be dismissed as a mere phrase“: F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 2.7 (1902), pp. 470-485, p. 470. 12 Esistevano fondamentalmente due tipi di tribunali mercantili: Piepowder Courts (così chiamati, secondo i più, in quanto le controversie dovevano in teoria essere risolte prima ancora che la polvere potesse essere tolta dai piedi delle parti in causa, ma sembra più convincente la teoria secondo la quale l’espressione derivi dal fatto che tali tribunali erano frequentati da mercanti, chiamati “piedi polverosi” in quanto si spostavano continuamente da fiera a fiera) e Staple Courts (introdotte dallo Statute of the Staple del 1353, per regolare lo status di alcune città portuali). Le cause della loro decadenza non sono chiare. Baker sottolinea il fatto che, verso la fine del medioevo, accadde sempre più spesso che a svolgere la funzione di segretari fossero persone che avevano ricevuto una educazione giuridica e che tendevano ad inserire le formalità proprie del common law in queste corti tradizionalmente informali. Vedi: J.H. Baker, The Law Merchant and the Common Law before 1700, in “The Cambridge Law Journal”, 38 (1979), pp. 295-322, p. 306. Charles Gross, invece, attribuisce la decadenza all’incremento della domanda di merci che, sommato al miglioramento dei trasporti e della viabilità, soprattutto nel XVIII secolo, avrebbe portato ad una decadenza delle fiere e dei mercati periodici e quindi dei relativi tribunali. Gross rileva comunque la persistenza di alcuni tribunali mercantili per tutto il XIX secolo: “ (…) They continued to be held at Bartholomew fair, London, until 1854, and normally at Hemel Hempstead until 1898 (…)”: Select Cases Concerning the Law Merchant, A.D. 1251-1779, vol. I, Local Courts, ed. for the Selden Society by C. Gross, London, 1908, p. XIX. 13 F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 2.7 (1902), pp. 470-485, p. 472. 14 Così ad esempio la IX charter di Enrico III (1268): ivi, p. 474. 15 Per un riepilogo della bibliografia dedicata al mercante Gerard Malynes e al suo Consuetudo vel Lex Mercatoria (London, 1622), si veda: S. Gialdroni, Gerard Malynes e la questione della lex mercatoria, la cui pubblicazione è prevista in: “ZSS. Germ. Abt.“, 126 (2009). 16 John Godolphin, avvocato e quindi giudice presso la Court of Admiralty, fu uno strenuo difensore del civil law, contro i sostenitori del common law. Il suo View of Admiralty Jurisdiction (1660), nonostante le critiche, venne ripubblicato diverse volte. È a quest’opera che si riferisce la citazione di Burdick. Vedi: J.R. Collins, Godolphin John (1617-1678), in DNB, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/10879]. 17 Anche Richard Zouche, civil lawyer come Godolphin, fu avvocato e poi giudice presso diverse corti e infine presso la Court of Admiralty. Il suo ultimo lavoro, The Jurisdiction of the Admiralty of England Asserted against Sir Edward Coke’s “Articuli admiralitatis” in Chap. xxii of his “Juristiction of Courts”, pubblicato postumo nel 1663, era una risposta all’attacco di Coke alla giurisdizione dell’Admiralty. Per Zouche il law merchant non derogava al common law, ma coesisteva con esso, ragion per cui spettava ai litiganti scegliere quale corte adire e la procedura dell’Admiralty era per essi più conveniente. Vedi: P. Stein, Zouche Richard (1590-1661), in DNB, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/30302]. 18 William Prynne fu fecondo autore di pamphlet e common lawyer. Nel 1669, anno della sua morte, venne pubblicata l’opera a cui si riferisce Burdick: Brief Animadversions on Coke’s Institutes. Su Prynne vedi: W. Lamont, Prynne, William (1600-1669), in DNB, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/22854]. 19 F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 2.7 (1902), pp. 470-485, p. 479-80. William Murray, primo conte di Mansfield, fu un politico di rilievo, ma soprattutto uno dei giudici più importanti del suo tempo. Venne nominato Chief Justice della corte del King’s Bench nel 1756 e tra i contributi che dette allo sviluppo del diritto inglese nei suoi trenta anni di attività in qualità di giudice, va sicuramente ricordato il suo impegno volto ad attribuire stabilità e prevedibilità al diritto commerciale: “The great object in every branch of the law, but especially in mercantile law, is certainty” (Milles v. Fletcher, 1779), vedi: J. Oldham, Murray William, First Earl of Mansfield (1705-1793), in DNB, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/19655]. 20 F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 2.7 (1902), pp. 470-485, p. 485. Francis Bacon, visconte di St. Alban, fu, oltre che uno dei filosofi inglesi più influenti del XVII secolo, anche politico e giurista insigne, nominato Lord Chancellor nel 1618. Tra i suoi progetti, quello di una “riorganizzazione” del diritto inglese, ai difetti del quale andava cercato rimedio nel diritto romano. Quando Burdick parla della vittoria di Bacon su Coke, si riferisce probabilmente al fatto che alla caduta di Coke seguì rapidamente l’ascesa di Bacon e che quest’ultimo, in quanto lord cancelliere, non aveva alcuna intenzione di ridimensionare la competenza della Court of Chancery, come nei progetti di Coke. Vedi ad es.: M. Peltonen, Bacon Francis, Viscount St Alban (1561-1626), in DNB, 2004 [http://www.oxforddnb.com/view/article/990]. 21 F.M. Burdick, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 2.7 (1902), pp. 470-485, p. 480. 22 Ivi, p. 485. 23 Sir W. Holdsworth, A History of English Law, vol. V, London, 1924, pp. 149-154. Stando al Black Book of the Admiralty, la corte sarebbe stata istituita da Edoardo I, ma ormai è comunemente accettato che fu Edoardo III ad istituirla, nel 1360. Pare che fosse stata ideata principalmente per risolvere controversie in materia di disciplina all’interno della flotta e in generale di crimini commessi in alto mare (con particolare riferimento alla pirateria). Nel XVII secolo la sua competenza sembra estesa non solo a tutte le controversie sorte in alto mare, ma anche, più in generale, alle cause commerciali concernenti rapporti con l’estero. 24 “(…) there was no body of Law Merchant before Mansfield; (…) prior to that time there was nothing but heterogeneous lot of loose undigested customs, which is impossible to dignify with the name of a body of law”: J.S. Ewart, What is the Law Merchant?, in “Columbia Law Review”, 3.3 (1903), pp. 135-154, pp. 138 e 140. 25 W. Mitchell, An Essay on the Early History of the Law Merchant, Cambridge, 1904, pp. 156-161. 26 W.A. Bewes, The Romance of the Law Merchant. Being an Introduction to the Study of International and Commercial Law with Some Accounts of the Commerce and Fairs in the Middle Ages, London/Littelton: Colorado, 1986 (1923), p. 77 27 Ivi, p. 26. 28 G. Malynes, Consuetudo, vel, Lex Mercatoria: or, The Ancient Law-Merchant, London, 1622, p. 2. 29 “However fanatical and illogical may have been this movement, it gave to commerce its first real international status. Out of such an international mercantile relationship there followed a commercial code which extended its influence over every country and gave birth to what is known today as international law”: C. Kerr, The Origin and Development of the Law Merchant, in “Virginia Law Review”, 15.4 (1929), pp. 350-367, p. 353. 30 Sir John Holt, Chief Justice del King’s Bench dal 1689, è considerato il giurista più influente tra Hale e Mansfield. Si occupò molto di diritto commerciale, ma solo attraverso i suoi accuratissimi reports (escludendo la trattatistica). Vedi: P.D. Halliday, Holt, Sir John (1642-1710), in DNB, 2005 [http://www.oxforddnb.com/view/article/13611]. 31 Art. 41. Si riporta qui la versione citata da Kerr: “(…) all merchants shall have safety and security in coming into England and in going out of England, and in staying and in travelling through England, as well by land as by water, to buy and sell without any unjust exaction, according to ancient and right customs (…)”. Vedi: C. Kerr, The Origin and Development of the Law Merchant, in “Virginia Law Review”, 15.4 (1929), pp. 350-367, p. 359. 32 Si tratta del privilegio concesso nel 1303 da Edoardo I ai mercanti stranieri, ai quali veniva assicurata, tra l’altro, libertà di commercio, protezione giuridica e esenzione dal pagamento dei dazi su ponti e strade. Fu ufficialmente revocato da Edoardo II in seguito alle proteste dei mercanti inglesi. 33 L. Stuart Sutherland, The Law Merchant in England in the Seventeenth and Eighteenth Centuries, in Transactions of the Royal Historical Society, s.l., 1934, 149-176, p. 150. 34 “The full flowering of the international theory of the Law Merchant is not in short the product of the Middle Ages, but of the great age of the civil law, the sixteenth and seventeenth centuries, and in particular of the great concept developed by that age, the Law of Nations”: ivi, p. 153. 35 In un articolo pubblicato il 4 ottobre del 1956 sul quotidiano Le Monde Goldman, pur non parlando esplicitamente di lex mercatoria, introduceva l’innovativo concetto di société internationale riferendosi alla Compagnie du Canal de Suez. È opinione condivisa che furono gli scritti di Goldman a dare impulso al dibattito sulla “nuova” lex mercatoria: K.P. Berger, Berthold Goldman, Philippe Fouchard and Philippe Kahn. The Rebirth of the Lex Mercatoria by the French School, in http://www.tldb.net/. Tra gli scritti di Goldman si veda: B. Goldman, Frontières du droit et lex mercatoria, in Archives de philosophie du droit, IX (1964), pp. 177-192. Va però sottolineato che già nel 1957 Clive Schmitthoff aveva introdotto il concetto di moderna lex mercatoria, con un articolo intitolato Commercial Law in Action. (cit. in: K.O. Scherner, Lex mercatoria – Realität, Geschichtsbild oder Vision?, in ZSS. Germ. Abt., 118 (2001), pp. 148-167, p. 149). 36 Comparative Studies in Continental and Anglo-American Legal History, Band 1: Englische und kontinentale Rechtsgeschichte: Ein Forschungsprojekt, hrsg. von H. Coing und K. W. Nörr, Berlin, 1985, pp. 9-13. 37 ZEP, 1 (1993), p. 2. Gli editori sono: Jürgen Basedow, Uwe Blaurock, Axel Flessner, Reiner Schulze e Reinhard Zimmermann. 38 R. Zimmermann, Der europäische Charakter des englischen Rechts. Historische Verbindungen zwischen civil law und common law, in ZEP, 1 (1993), pp. 4-51. 39 “And so English law flourished in noble isolation from Europe”: J.H. Baker, An Introduction to English Legal History, London, 1990 (1971), p. 35. Nella quarta e ultima edizione dell’opera, il termine “noble” è stato omesso (J.H. Baker, An Introduction to English Legal History, London, 2002, p. 29). 40 L.E. Trakman, The Law Merchant: the Evolution of Commercial Law, Littleton: Colorado, 1983. 41 Trakman si riferiva in particolare all’ambiente dei comuni italiani, i cui statuti parlavano di consuetudini o di rapidità nelle procedure, ma non sembravano fare riferimento ad un vero e proprio corpo di consuetudini mercantili. Le città prese in considerazione erano Bologna (1279), Venezia (1287), l’Aquila (1395), Brescia (1313), Genova (1403-07), Firenze (1402), Pisa e Marsiglia. Vedi: ivi, pp. 12-13. 42 “Mercantile law in England evolved differently than did commercial law in Continental Europe. Yet the Law Merchant itself remained the source in both legal systems. What happened in each case was the embodiment of Law Merchant values within domestic legal systems that were in line with state policy, national interests and domestic mores”: ivi, p. 23. 43 R. Zimmermann, Der europäische Charakter des englischen Rechts. Historische Verbindungen zwischen civil law und common law, in ZEP, 1 (1993), pp. 4-51, p. 32. 44 Oltre alle opere menzionate si veda almeno: Sir W. Holdsworth, A History of English Law, vol. V, London, 1924, pp. 102-154 e T.F.T. Plucknett, A Concise History of the Common Law, Boston, 1956 (5th ed.), pp. 647-670. 45 J.H. Baker, The Law Merchant and the Common Law before 1700, in “The Cambridge Law Journal” 38 (1979), pp. 295-322. 46 “Whatever the seventeenth –century writers may have said in vague rhetorical terms about the lex mercatoria in England, there was nothing arcane about it. It was in reality nothing other than a refinement of the common law which had always governed mercantile affairs. And the process of refinement was not one of borrowing ready-made law from other jurisdictions, in the way that the developed Canon law was adopted into the common law after the Reformation. It was a crystallisation of principles which had previously been left to the general knowledge and common sense of city juries. The procedures which precipitated those principles as positive law were developed, not by medieval mercantile tribunals or international conference, but by the common –law courts of the Renaissance period. And the common-law courts did not operate those procedures by “incorporating” a law merchant, in any of the usually accepted senses of that term. They used them to create it”: ivi, p. 322. 47 Ivi. 48 J.S. Rogers, Sobre los orígenes del moderno derecho inglés de sociedades, in Del ius mercatorum al derecho mercantil, III Seminario de Historia del Derecho Privado: Sitges, 28-30 de mayo de 1992, ed. C. Petit, Madrid, 1997, pp. 307-332, p. 308. 49 Con alcune eccezioni; si veda ad es. C.S. Cumming, The English High Court of Admiralty, in “The Maritime Lawyer”, 17 (1992), pp. 209 e ss., riconducibile piuttosto alla corrente del primo dopoguerra. 50 M. Fortunati, La lex mercatoria nella tradizione e nella recente ricostruzione storico giuridica, in “Sociologia del diritto”, 2/3 (2005), pp. 29-41, p. 41. Si veda anche, ad esempio: D.R. Coquillette, Incipit lex mercatoria, que, quando, ubi, inter quos et de quibus sit: el tratado de Lex Mercatoria en el Little Red Book de Brístol (ca. 1280 A.D.), in Del ius mercatorum al derecho mercantil, op. cit., pp. 143-228 e, infine, A. Cordes, Auf der Suche nach der Rechtswirklichkeit der mittelalterlichen Lex mercatoria, in ZSS Germ. Abt., 118 (2001), pp. 168-184, p. 177: “Lex mercatoria“ ist kein Begriff des europäischen oder internationalen, sondern des englischen Rechts, bezeichnet dort im 13. Jh. prozeßrechtliche Privilegien und vielleicht auch schon eine Prozeßrechtsordnung. Erst in den justizpolitischen Auseinandersetzungen des 17. Jh. gewinnt die Lex mercatoria auch materiellrechtliche Konturen“. |
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