journal Debates Perception and application of French law as a paradigm in 19

Riccardo Ferrante

Un ruolo per l'nterprete: la scienza giuridica italiana tra Code Napoléon e ABGB

Com’è troppo noto, Code Napoléon e Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch für die gesammten deutschen Erbländer der österreichischen Monarchie (ABGB) possono essere accostati e presentati proprio a causa delle profonde differenze che li contraddistinguono1.
Detto in estrema sintesi, quello francese è il frutto di un’elaborazione culturale condizionata dal pensiero illuministico francese e da una specifica tradizione di pensiero (Domat, Pothier,) che porta all’affermazione del positivismo giuridico e di una specifica “scuola” scientifica tipica dell’Ottocento di area francese, quella dell’esegesi. Il codice austriaco del 1811 è per converso il risultato conclusivo di un lungo processo che si è dispiegato, attraverso diversi tentativi di riordino legislativo, lungo il XVIII secolo. E’ un processo strettamente legato all’assolutismo illuminato degli Asburgo e chiaramente condizionato dai filoni di pensiero giuridico di area germanica2.

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In quest’area, in particolare, a partire dalla istituzione della cattedra di diritto naturale avvenuta ad Heidelberg nel 1660 e affidata a Samuel Pufendorf, tale disciplina era divenuta perno fondamentale della riflessione in tema di codificazione; significativamente a metà del XVIII secolo l’insegnamento sarebbe stato avviato anche a Vienna e affidato a una figura cardine della via austriaca alla codificazione come Carl Anton Martini. Ciò pertanto, e se paragonato al Code civil, il codice austriaco è individuato come un codice di principi, piuttosto che un codice di norme-comando, elaborato sotto l’influenza di quelle correnti di pensiero che ritenevano opportuno edificare un sistema normativo come sistema di proposizioni da cui è possibile ricavare altre proposizioni, un codice che lascia ampio spazio al lavoro ermeneutico dell’interprete3.

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L’interprete del Code civil, per contro, avrebbe avuto necessariamente un mero compito ricognitivo della norma codificata. Non mi soffermo su questo specifico problema: in altra sede ho cercato di fornire qualche argomento a favore di una visione meno netta della cultura giuridica di area francese di questo periodo4.
Avendo particolare riguardo ai problemi dell’interpretazione, e quindi ai primi articoli e ai primi paragrafi rispettivamente del codice francese e di quello austriaco, probabilmente un trait d’union può essere identificato in quel celebre Livre preliminaire del progetto di code civil presentato dalla commissione capeggiata da Portalis nel 1801. Un libro preliminare poi non adottato nella versione definitiva del codice, perché ritenuto un testo di taglio dottrinale non coerente con l’impronta strettamente imperativa che quel testo avrebbe dovuto avere5.

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Si tratta di ben trentanove articoli divisi in sei titoli. Nel titolo quinto “De l’application et de l’interprétation des lois”, l’articolo 11 recita espressamente che

Dans les matières civiles, le juge, à défaut de loi précise, est un ministre d’équité. L’équité est le retour à la loi naturelle, ou aux usages reçus dans le silence de la loi positive”

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Del progettato libro preliminare del codice civile francese sarebbe rimasto il ben più modesto “titolo preliminare” in sei articoli dedicati alla “pubblicazione, effetti e applicazione della legge in generale”. Sarebbe in particolare sopravvissuto la norma poi destinata a diventare il capitale articolo 4. (“se un giudice ricuserà di giudicare sotto pretesto di silenzio, oscurità o difetto della legge, si potrà agire contro di lui come colpevole di negata giustizia”, secondo la traduzione ufficiale del 1806), ma certo senza il presupposto fondamentale dell’articolo 11, che alla fine era stato completamente espunto.

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Nella mente dei codificatori francesi il rilievo alla “legge naturale” era stato, dunque, inizialmente molto netto, e se mantenuto avrebbe profondamente condizionato l’intero impianto codicistico.
Non va ritenuto arbitrario, in questa sede, il richiamo al “fantasma” del livre preliminaire. In qualche misura esso condizionò, infatti, la cultura giuridica (di area) francese come una sorta di “sottointeso normativo”.

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Già nella fase immediatamente successiva alla promulgazione del Code civil, Toullier riconosce come le regole in tema di interpretazione, ben più elaborate rispetto al poco che offre il codice, vadano ricercate “dans les auteurs qui ont écrit sur le droit naturel, tels que Puffendorf, Thomasius, Heineccius, etc, et dans ceux qui ont écrit sur le titre du digeste de legibus”. Andrebbe poi volto lo sguardo soprattuto alle norme “tirées du titre [in realtà “livre”] préliminaire que M. Portalis avait mis en tète du projet de code, et qui, malgré l’utilité et la justesse reconnues de ses maximes, fut supprimé”; Toullier riporta dunque il testo degli articoli 4-10 del titolo quinto del libro preliminare6.

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In una fase successiva un autore fondamentale come François Laurent nei Principii di diritto civile articola il proprio discorso in tema di interpretazione esattamente sulla base di quel “fantasma” quasi che fosse stato adottato nella sua interezza al momento della promulgazione del code:

“Il Codice civile non pone alcuna regola sull’interpretazione delle leggi. Vi era nel libro preliminare, redatto dagli autori del Codice, un titolo su questa materia [l’interpretazione della legge]. Il legislatore ha creduto di doverlo abbandonare alla scienza. (…). Noi tenteremo di colmare questa lacuna, appoggiandoci sul Libro preliminare che stabilisce le regole fondamentali con una precisione ammirabile”7

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Volendo poi indulgere sulle consonanze tra Codice Napoleone e ABGB va ricordato come nel progettato libro preliminare al Code civil possa essere riconosciuta molto chiara l’impronta del Portalis giusnaturalista del Discours preliminaire al codice del 18018. Portalis dopo il colpo di stato del 18 fruttidoro V, tra il 1797 e il 1799 era stato esule in Svizzera e in Germania, aveva studiato Kant e aveva composto il celeberrimo De l’usage e de l’abus de l’esprit philosophique au XVIIIe siècle. Influenzato dal pensiero kantiano era d’altronde Franz von Zeiller, allievo di Carl Antonio Martini, il Zeiller padre dell’ABGB e suo primissimo interprete9.

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Nell’ABGB l’Introduzione, organizzata in quattordici paragrafi, è dedicata alle “leggi in generale”. Quanto al problema particolare dell’interpretazione, o meglio “applicazione”, della legge e delle sue fonti - oltre a non dimenticare la patente di promulgazione con cui Francesco I dichiarava abolito il diritto comune – tra i paragrafi di speciale rilievo vi è innanzi tutto il 6: nell’ “applicare la legge” le va attribuito il senso che si manifesta dal “proprio significato dalle parole” e “dalla chiara intenzione del legislatore”. Come dire, un’opzione “esegetica” che nemmeno il famigerato Code Napoléon (famigerato da questo punto di vista…) esprime in modo così esplicito. E d’altronde l’esegesi (termine in realtà improprio) francese nasce casomai da un contesto normativo diverso, cioè quello relativo agli studi giuridici universitari, la legge 22 ventoso XII (13 marzo 1804)10.

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Realmente nodale è però il paragrafo 7, noto a tutti, ma il cui rilievo consiglia una riproduzione integrale:

“Qualora una causa non si possa decidere né dalle parole, né dal senso naturale della legge, si avrà riguardo ai casi consimili precisamente dalle leggi decisi ed ai fondamenti di altre leggi analoghe. Rimanendo nondimeno il caso dubbioso, dovrà decidersi secondo i principi del diritto naturale, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso maturamente ponderate”

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Circa il modo in cui questa norma sull’interpretazione fu interpretata dalla letteratura di commento all’ABGB si tornerà ampiamente in seguito11.

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Ancora, rileva ai presenti fini anche il successivo paragrafo 8: “interpretare la legge” (non “applicare”, questa volta, visto che ovviamente quel compito spetta ai giudici in via esclusiva) spetta “solo al legislatore” e “in modo per tutti obbligatorio”. Insomma, al di là del pronunciamento tardo-giusnaturalista del §7, siamo pienamente immersi nel giuspositivismo della codificazione moderna: il legislatore - e con lui le sue leggi, i suoi codici – rimane saldamente al centro della scena dopo averlo conquistato a seguito di una battaglia durata un secolo

Detto tutto ciò, non può essere infine dimenticato il contesto generale, il fatto cioè che, al di là di quanto affermato nel §7 dell’ABGB, codificazione e positivismo giuridico su scala continentale segnano la progressiva eclisse del giusnaturalismo. D’altronde è stato autorevolmente indicata un’unica matrice per i codici a cavallo di XVIII e XIX secolo, dall’Allgemeines Landrechtfür die preussischen Staaten (ALR), all’ABGB austriaco, individuati nel loro complesso come i “codici giusnaturalistici”12. Allora è meglio dire che il giusnaturalismo moderno culmina e si esaurisce nella codificazione (intesa come diritto naturale positivizzato). Il Code Napoléon ebbe ovviamente in questo un ruolo decisivo, ma non pare davvero che l’ABGB abbia fornito al diritto naturale una reale chance di sopravvivenza13.

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Dunque, individuati i luoghi, le direttrici e gli incroci tra le “preleggi” (per usare un espressione successiva e tipicamente italiana) dei due codici, si delinea una sorta di geografia dell’interpretazione giuridica suscettibile di essere attraversata secondo itinerari anche inaspettati
Una premessa di cui tenere conto è come sia agevole verificare nei primi commentatori dell’ABGB una spiccata tendenza alla comparazione, se non addirittura un’utilizzazione della normativa straniera (quella francese in particolare) come fonte, certo non primaria ma comunque in alcuni passaggi ineludibile, per il lavoro interpretativo. Già questo probabilmente contribuisce a giustificare il fatto che il problema dell’interpretazione possa essere visto attraverso due angoli di visuale apparentemente distanti, quello appunto del Code Napoléon e quello dell’ABGB.
Anche nel campo dell’interpretazione l’opinione di Franz von Zeiller appare da subito come il punto di partenza dei commentatori dell’ABGB.

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Franz Xaver Nippel, particolarmente attento ai problemi dell’interpretazione, proprio in sede di analisi del § 6, infatti precisa:

“quel comentatore, che ebbe la parte più interessante nella formazione del Codice civile generale, ha la preminenza decisa su tutti gli altri. Infatti, se si tratta di determinare la vera intenzione del legislatore, chi può porgere più sicuri schiarimenti… (…) Per tutte queste cose il Comentario del Sig. Consigliere aulico de Zeiller sarà sempre un libro indispensabile per illustrare le singole disposizioni di legge”14.

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Ancora, Joseph Winiwarter ricorda come il commento di Zeiller sia stato considerato un lavoro definitivo, rendendo inutili opere con il medesimo taglio, nel senso che le opere civilistiche successive avrebbero dovuto semmai riguardare specifici rami del diritto civile e non più la sua interezza (…e Winwarter sostiene di “offrire un libro didascalico, ossia un manuale”)15.

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Nelle Cognizioni preliminari del suo Commentario sul codice civile universale austriaco Zeiller esprime chiaramente, e precisa in seguito, i presupposti culturali e ideologici che hanno presieduto alla sua opera di codificatore e che ancora risentono del dibattito settecentesco16: giusrazionalismo e giusnaturalismo, “diritto romano attinto dalla ragione” come “base dei codici moderni” (§ XXI) anche per la sistematica scelta (§ XXXIII) e quindi in base a ciò la disposizione delle “materie di diritto” in “un ordine naturale” (p. 60, in commento al §6 del codice). Compaiono ancora il problema del superamento del particolarismo giuridico e la necessaria brevità e completezza del codice raggiunta attraverso “principi generali da cui nascano per diretta conseguenza dei principi particolari ad ogni materia”, affidandosi al “savio discernimento del giudice”, senza però consentirgli semplicemente di “esercitare il proprio arbitrio” (§ XIX).

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Va notato come espressamente “codice” e “commentario” siano indicati quali strumenti complementari per valutare il lavoro del legislatore (§ XXII). Quanto alle fonti dottrinali un richiamo esplicito va a Montesquieu, e proprio al fondamentale elemento di analisi costituito dall’esprit de loix, inteso come l’insieme delle relazioni che legano le leggi alle particolarità locali e che delle diverse legislazioni determinano le specifiche caratteristiche. È una predilezione, quella per Montesquieu, che Zeiller confermerà, pur avendo a disposizione importanti filoni di pensiero giuridico settecentesco di area germanica e in sintonia con gli altri autori austriaci, a conferma della portata continentale che il pensiero dell’autore francese continuò ad avere17.

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Ma al di là delle affermazioni di principio, che rientrano nella tradizione giusnaturalistica settecentesca, l’attacco del commentario è una chiara dichiarazione di volontarismo e giuspositivismo: “La vera origine del diritto sono le leggi, cioè le prescrizioni generalmente obbligatorie del capo supremo dello stato”.
Avviene così che le fonti normative di cui tenere conto siano il così detto “codice giuseppino” del 1787 (il cui primo titolo era appunto dedicato ai principi generali del diritto), e poi i Digesta, il Landrecht prussiano del 1794, e infine il titolo preliminare del Code Napoléon.

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I primi rinvii possono essere considerati ovvi, mentre considerando le date di composizione del codice austriaco e di questo suo primo commento (pubblicato tra il 1811 e il 1813) il rinvio al monumento napoleonico (e proprio in tema di principi generali) lo è un po’ meno. Non solo: già al commento del § 3 (in tema di efficacia della legge) ritorna il riferimento al codice francese, di cui è dato il testo e l’ulteriore rinvio all’Esprit du Code Napoléon di Locrè, come avverrà anche in seguito (quando anzi si citerà per lo più anche Maleville)18.

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Il commento al § 6 – che come si è visto tratta di interpretazione letterale e interpretazione secondo l’intenzione del legislatore – dà a Zeiller l’occasione per prescrivere nell’interpretazione e nell’applicazione della legge “uno studio indefesso della scienza legale”, che però deve avere per presupposto un “codice il quale sia compilato con metodo e con precisione”. Ecco allora che sulla scorta di questo paragrafo si possono individuare un’interpretazione “grammaticale” o “letterale”, e una “logica” o “filosofica”, “tendente – questa seconda – a spiegare la vera intenzione del legislatore”. Questa comunque prevale sulle altre perché “non è già la lettera che forma la legge, ma la volontà del legislatore diretta a conseguire uno scopo che più o meno interessa lo Stato”. Le fonti dell’interpretazione sono dunque:

“1: la legge sovrana; 2: i principii generali del diritto naturale; 3: le nozioni comuni del diritto, e quelle che sono particolari a ciascun contratto (…); 4: le presunzioni naturali che derivano dalla natura di un contratto, dall’ordine consueto delle cose e dall’intenzione dei contraenti che il legislatore vuol far conseguire e far eseguire; 5: finalmente le leggi, che secondo il loro contenuto sono più o meno positive, e le cause accidentali, le relazioni particolari, non che le date istoriche o statistiche”19.

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Così il codificatore Zeiller, timoroso forse del margine eccessivo concesso all’interprete dal § 7, precisa:

“Ma nemmeno la semplice oscurità d’una legge autorizza le parti, i loro causidici, od il giudice a deviare dalla stessa, ed a ricorrere al codice della ragione. Si cerchi prima l’interpretazione letterale, e allorché questa non tolga l’oscurità, si sottoponga la legge al tribunale superiore cui spetta di applicarvi il caso e deciderlo. Incombe soprattutto al giudice lo stretto dovere di conservare l’autorità della legge…”

Sul significato del termine “diritto naturale”, Zeiller si sofferma nel commento al successivo § 7, dove, come si è visto, fonte interpretativa sono “i principi del diritto naturale” (“die natürlichen Rechtsgrundsätze”), cioè, come indica Zeiller stesso, “la filosofia del diritto”. Nonostante tutte le premesse giusnaturalistiche, egli richiama però alla moderazione: “il codice della ragione non è che sussidiario, e se ne dee far uso sol quando il codice civile assolutamente non basta”. Si insiste ancora sulla cautela in questo campo:

“…è arrogante e riprensibile quel giudice che vuol derivare la decisione dal codice della ragione. Ma sarebbe una temerarietà ancor maggiore quella di chi volesse costituirsi giudice delle leggi e disprezzarle sotto pretesto ch’esse non s’accordano colle leggi naturali”.

E in nota si aggiunge:

“La giurisprudenza non deve né può mai trarre immediatamente i suoi principi dalla filosofia. Ella non deve dimenticare la legge positiva (…). Ella deve animarla, ma non arrogarsi un’autorità maggiore della sua”20.

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In appendice al commento della parte introduttiva dell’ABGB risistema in schema la materia delle fonti e dell’interpretazione. Da una parte sono allora poste le “sorgenti del diritto”, e dall’altra “i mezzi che direttamente conducono allo studio del nuovo diritto civile”.

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Il diritto naturale è una “sorgente sussidiaria” (lo è anche il diritto giustinianeo, ma solo per i casi antecedenti il codice e in subordine alle “leggi patrie”). Si trova invece al primo posto quando si passa a considerare i “mezzi” interpretativi, seguito dalle “opere scientifiche”, dalle fonti normative di diritto patrio in quanto considerate “la base del presente codice” e le relative opere scientifiche, dal diritto romano, dai codici moderni esteri (tra cui, espressamente, quello francese) e gli scritti scientifici su di essi.

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Insomma, Zeiller, che a livello dottrinale - come autore del codice - era depositario di una speciale autorevolezza, si era formato sulla dottrina del diritto naturale e comunque aveva realizzato un codice di norme-principio alternativo rispetto al Code Napoléon. Eppure proprio lui si affrettava adesso a limitare l’uso del diritto naturale e a raccomandare una lettura esegetica – fino a quanto possibile – del testo legislativo. Di fatto prescriveva all’interprete margini di manovra inaspettatamente stretti, forse temendo per il “suo” codice che comunque, secondo i postulati di derivazione settecentesca, proponeva come completo.

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In Italia, al momento della Restaurazione, e con l’introduzione dell’ABGB, ai giuristi del Lombardo-veneto si pose immediatamente il problema della successione tra i due codici21.
Fra i primi a salutare questo nuovo ingresso nella tradizione civilistica italiana è il vicentino Giovanni Maria Negri. In un volume intitolato ai difetti del Codice Napoleone e ai pregi dell’ABGB festeggia subito nel 1815 la “sospirata dominazione austriaca”22.
Il punto di avvio sono le manchevolezze del Code Napoléon riconosciute per altro dalla stessa dottrina francese. E così Negri riproduce – in modo scientificamente modesto – una scelta degli articoli del code con alcune osservazione critiche costruite per lo più sull’Analyse raisonnée di Maleville e in proporzione poco sul codice austriaco.

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Particolarmente significativo di questa fase di passaggio è senza dubbio la figura di Onofrio Taglioni23. A lui dobbiamo uno dei primi e più diffusi commenti italiani al Code Napoléon (1809), anche se per vero la sua opera non si segnala per particolare originalità: in sostanza non è che una mera lettura del codice per individuarne le corrispondenze col Corpus iuris giustinianeo.
Quel diligente esegeta, ormai vanificata la sua opera originaria, nel giro di pochi anni si trova nella necessità di dedicarsi all’ABGB (dal 1816)24. Lo fa con una netta dichiarazione di abiura nei confronti del Code Napoléon, ma sempre come “commentatore di codici”.

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Il Taglioni del Commentario al codice civile universale austriaco denuncia fin dalla dedica della sua opera “alla studiosa gioventù” quale sia la piattaforma da cui prende le mosse: il libro è innanzi tutto dedicato espressamente agli studenti, rimane cioè l’idea che la didattica civilistica vada svolta “secondo l’ordine del codice”, cioè secondo l’indicazione della legge francese del 22 ventoso XII (13 marzo 1804). Il commentario si conferma chiaramente come un genere di letteratura giuridica di origine e di destinazione precipuamente accademica. Per altro a Taglioni va comunque riconosciuto come in tempi non sospetti, sulla scorta di Romagnosi, abbia effettivamente invitato a un’esposizione del diritto non esclusivamente ancorata all’ordine del codice, progetto che adesso, con la nuova opera, tenta di realizzare con un’esposizione, seppur timidamente, sistematica.

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Se il semplice giurista, o giurisperito – sostiene allora Taglioni – “non sa che la legge”, il “giureconsulto” – al contrario - si distingue per un orizzonte di conoscenze più ampio. Dovrà abbracciare il complesso delle “umane cose”, che si possono apprendere non dai libri ma “ascoltando gli ammaestramenti di alcuno di que’ pochi sapienti che vivono a’ giorni nostri”.

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Il riferimento è molto generico, ma echeggia la sciagurata frase che ha inchiodato il povero Joseph Bugnet a un destino di infamia come prototipo degli “esegeti francesi”: “io non conosco il diritto civile, io conosco il Codice Napoleone”. Allo stesso modo trovano eco le chiare affermazioni che Portalis aveva pronunciato contro una cultura giuridica esclusivamente legislativa alla Académie de législation il 1 frimaio XII (23 novembre 1803): “non si potrà conoscere il nuovo codice, se si studia solo il codice”25.
Dopo due impliciti riferimenti francesi, ecco il tentativo di allacciarsi direttamente alla riflessione sui codici di matrice austriaca: “Non è difficile conoscere bene le leggi, e saperle interpretare: la difficoltà è nell’applicarle”.

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Questa netta distinzione era esattamente il punto di avvio delle riflessioni in tema di interpretazione prospettato da Zeiller, poi rievocato dai suoi epigoni austriaci e dunque qui fatto proprio anche dalla dottrina del lombardo-veneto. Il riferimento è anche qui molto generico, ma serve chiaramente a Taglioni per dare il tono alla propria trattazione. E’ una visione piuttosto pragmatica, e uno degli esiti è il sostanziale ridimensionamento del diritto naturale come strumento interpretativo: “Il diritto naturale, poi, si può comodamente ridurre a questi tre precetti: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere”. Era semplicemente la descrizione – tanto nota da essere ovvia - dei iuris praecepta di Ulpiano proposta nel De iustitia e iure del Digesto26. Quanto alle fonti utilizzate, in Taglioni l’abiura della legislazione francese, a differenza degli stessi autori austriaci, arriva fino al punto di ignorare completamente il Code Napoléon. Più degli austriaci indica nel codice abolito una fonte di errori cui i giuristi si sono abbandonati con una “credulità” di cui debbono dolersi: adesso la “legislazione piena di saggezza” dei romani, con la “lealtà dei germani”, è contenuta nel nuovo codice. Ecco allora le fondamentali correzioni nel campo della patria podestà, del matrimonio, dei contratti, e così via.

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Ritmata da battenti rinvii al diritto romano è anche l’esposizione che Giuseppe Carozzi pubblica, a partire dal 1818, nella Giurisprudenza del codice civile universale della Monarchia austriaca divisa in diversi trattati esposti secondo l’ordine delle materie in esso contenute (cioè “dans l’ordre établi par le Code civil” secondo l’eco ancora chiara della legge del 22 ventoso XII – 13 marzo 1804). In genere la lettura del testo codicistico avviene con rinvii costanti al solo Corpus iuris e così anche quando si tratta di definire le pratiche interpretative, e in particolare l’utilizzo del diritto naturale, si rinvia ancora al diritto romano e poi a quanto prescritto da Zeiller, senza aggiungere nulla27.

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Nel 1829 esce a Pavia il primo dei tre volumi di Istituzioni del diritto civile austriaco con le differenze tra questo e il diritto civile francese e coll’adattamento delle disposizioni posteriori alla promulgazione del codice civile generale austriaco pubblicate nel Regno Lombardo-Veneto di Agostino Reale28.
Reale, che ha iniziato la propria formazione universitaria in coincidenza con la promulgazione del Code civil, già in precedenza ha dimostrato un interesse specifico per i profili di tipo comparatistico, prendendo le mosse dalle elaborazioni della cultura giuridica francese29. Si è anzi già trovato nella condizione di porre a confronto legislazione commercialistica austriaca e “italica” (dunque il Code de commerce), iniziando per altro a guardare anche al codice civile austriaco30.

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Anch’egli, come gli altri commentatori dell’ABGB quando descrivono lo schema dell’attività interpretrativa, segue le orme di Zeiller. L’interpretazione è autentica, giudiziale o dottrinale. Quella dottrinale e quella giudiziale possono essere grammaticale (secondo l’uso della lingua e la connessione delle parole, dunque) o logica, cioè “la determinazione del senso della legge, dedotto dall’intenzione del legislatore”.

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A questo punto Reale passa ad analizzare in modo molto puntuale ed esteso le diverse articolazioni e fasi dell’attività interpretativa. Ancora una volta assolutamente residuale è l’interpretazione secondo “i principi del diritto naturale”, e il commentatore gli dedica pochissimo spazio. Per descrivere ciò che s’intende con questa formula ricorda che si tratta di “diritto naturale privato in istretto senso”; ricorda alcuni passi della legislazione austriaca, ma in tema di equità; riporta infine, senza spiegarne il nesso, l’articolo 4 del Code Napoléon… Con ciò passa a trattare d’altro.

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Redatte con la tecnica del commento articolo per articolo sono le Spiegazioni al codice civile austriaco dell’avvocato Diego Martinez31. Anche nel suo caso l’identificazione di quelle che lui chiama “regole di diritto” corrisponde a ricche citazioni romanistiche, corredate dalle solite illustrazioni di Voet ed Heineccius, ma non soltanto. Troviamo infatti ampi riferimenti alla legislazione sarda, alla legislazione e codificazione - ma anche alla giurisprudenza - francese, con in più ampie citazioni dalle opere di Daguesseau, Montesquieu, Vattel, Beccaria, Locré, Sirey.

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L’attacco del commento al § 7 dell’ABGB ancora una volta prende le mosse da una serie di considerazioni sull’obbligo del giudice a decidere la causa che in filigrana, nemmeno tanto fine, fanno trasparire il testo dell’art. 4 del Code Napoléon.
D’altronde l’eco dell’art. 4 del Code Napoléon continuerà a risuonare anche nella stessa cultura giuridica austriaca. Il già ricordato Winiwarter, ad esempio, illustrando il §7 sottolinea quanti siano gli “ausiliari fonti di legge” che mettono il giudice nella assoluta capacità di decidere, “per la qualcosa egli non potrà mai ricusare il suo ministero sotto pretesto di non sapere come prestarlo”32.
Insomma l’art. 4, se pur parafrasato, anche fuori dai suoi confini di vigenza rimane un buon argomento normativo per vincolare i giudici alle pratiche interpretative via via prescritte.

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Si tratta nel complesso di giuristi che appunto operano nei primi decenni di applicazione del Code Napoléon e dell’ABGB; andrebbero forse ancora aggiunti Andrea Amati, autore di un Manuale sul codice civile generale austriaco, in realtà meramente esegetico, e Giuseppe Antonio Castelli autore di Il codice civile generale austriaco confrontato con le leggi romane e col già codice civile d’Italia, che si sarebbe occupato anche del codice di commercio e di processo civile, sempre in un’ottica di comparazione tra codici33.

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Ma più significativa è l’opera di Jacopo Mattei, perché dà conto di un ulteriore passaggio nella storia della codificazione34. Già dal titolo l’avvocato veneziano è molto esplicito nell’indicare un ampio bacino interpretativo, dove si individuano esponenti del tardo diritto comune e le maggiori figure della scienza giuridica di commento al codice francese. Senza condizionamenti legati alle origini nazionali Toullier (in particolare Toullier…) o Merlin sono tranquillamente posti sullo stesso livello di un Winwarter, per rimanere a un autore qui già richiamato.

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In particolare, fonte di riferimento rimane il codice civile francese, e non solo a mero fine di comparazione, ma come vero e proprio strumento interpretativo. Non solo, ritorniamo qui a un nodo della codificazione francese cui abbiamo già fatto cenno. Illustrando il § 6 Mattei è molto esplicito:

“Il codice francese non offre alcuna norma per l’interpretazione delle leggi. Il sig. Portalis avea progettato alcune regole, ma non vennero adottate per la ragione, che tutto quello che è dottrinale appartiene all’insegnamento del diritto, ed ai libri dei giureconsulti: noi crediamo però utile di rapportare il progetto per l’utilità e la precisione delle massime; se le regole non avranno forza di legge, avranno però molta autorità, come quelle, che sono tracciate dal sommo giureconsulto che le avea proposte”

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Dunque Mattei riporta, direttamente nel testo, la serie di norme del Livre preliminaire in tema di interpretazione; con ciò sostanzialmente riprende il magistero pavese del Romagnosi, il quale a sua volta aveva appoggiato le proprie lezioni in tema di interpretazione, all’interno del suo corso di diritto civile del 1808, anche sul titolo V del libro preliminare, riportandolo testualmente35. O meglio l’insieme dei suoi “prolegomeni sulla ragion civile” si basano sul Libro preliminare del (progetto di) Code civil36.
Succinta è in definitiva la trattazione del Mattei intorno al § 7 e ancora senza riferimenti al ruolo dei principi del diritto naturale. Piuttosto si evidenzia una altro elemento importante nella storia della codificazione: “Il codice sardo ha identica disposizione al presente paragrafo”37.

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Sulla presenza del modello austriaco del § 7 nel codice del 1837 si accennerà ancora tra poco. Per ora qui va segnalato il Mattei commentatore del codice italiano del 1865 che si sofferma sull’art. 3 e deve ancora una volta commentare il medesimo testo, cioè per buona parte il §7 del codice austriaco. Questa volta la messe di giuristi francesi si amplia: da Domat a Merlin, Marcadè, Duranton, Mourlon, Demolombe, e Zachariae. Di essi si scelgono le espressioni di carattere maggiormente giuspositivista, ancora una volta di fronte a una norma che rinvia – questa volta – ai principi generali del diritto, si invita a un rispetto quanto più stretto possibile del dettato normativo38.

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Ancora una volta rimaneva dunque in ombra il contenuto effettivo dell’espressione “diritto naturale”. E’ Gioachino Basevi quello che sullo scenario italiano tocca il punto critico:

“il testo originale [del §7] non menziona esplicitamente il diritto naturale ma dice - secondo i naturali dati fondamentali del diritto [die naturlichen Rechtsgrundsätze]. Da ciò nacque l’opinione della maggior parte dei commentatori tedeschi, escluso Zeiller, che qui non si tratti di diritto naturale tal quale è insegnato nei trattati e nelle scuole, ma sibbene dei risultamenti del raziocinio concreto intorno alla natura della cosa, avuto riguardo al concetto, all’origine, e allo scopo delle leggi, che regolano la materia di cui si tratta, lo che nel linguaggio scientifico si chiama filosofia del diritto positivo39.

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Secondo questa ricostruzione, allora, bisognava “aver riguardo alle parole del testo originale e non ad altro”. Ripudiato il diritto naturale “tal quale è insegnato nei trattati e nelle scuole”, ci si sganciava definitivamente dalla tradizione scientifica e accademica del giusnaturalismo settecentesco, di cui appunto il codificatore austriaco Zeiller e quello francese Portalis – che ne determinarono l’evoluzione in giuspositivismo - erano stati gli ultimissimi esecutori testamentari.

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Che quella provincia del diritto legislativo rappresentato dalla parte preliminare dei codici fosse un terreno su cui le culture giuridiche si incontravano con una certa libertà è sicuramente testimoniato dalle scelte compiute dal codificatore sardo, prima, e da quello italiano, poi.
Per un codice largamente modellato sul Codice Napoleone come era quello sardo del 1837, si era scelto di redigere un titolo preliminare dove gli articoli sull’interpretazione (artt. 14, 15, e 16) fossero in ampia parte una riproduzione letterale dei paragrafi 6, 7 e 8 del codice austriaco (salvo che l’art. 15 non fa riferimento ai “principi del diritto naturale” – come il corrispondente § 7 dell’ABGB - bensì ai “principi generali del diritto”). Insomma, in un codice, che in base al modello scelto doveva essere un codice di norme imperative assolutamente esaustive della materia trattata, gli articoli sull’interpretazione della legge autorizzavano procedure ermeneutiche che avevano per presupposto la non-esaustività del codice stesso, affidando ampio spazio di manovra al giudice40.

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Due codici alternativi, si diceva all’inizio, eppure come nasce una scuola di commento al Code Napoléon, così pure, anche se con dimensioni meno significative, nasce una medesima tradizione di commento all’ABGB. E allora la tesi secondo cui il genere di letteratura giuridica “commento al codice”, e la così detta “scuola dell’esegesi”, nascono per la determinante impronta legicentrica imposta da Napoleone Bonaparte, non spiega come una medesima tendenza scientifica sia riscontrabile anche in Austria, a partire dallo stesso Zeiller41.

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Le norme sull’interpretazione del Code Napoléon, contenute in sostanza nel solo art. 4 una volta interpretato in chiave giuspositivistica, divergevano rispetto a quelle del ABGB, che al contrario autorizzava l’interprete a utilizzare come strumento interpretativo il diritto naturale. I giuristi francesi dell’800 si sentirono però più liberi di quanto il codice non prescrivesse, e per contro quelli di area asburgica proclamarono una sorta di autocensura, limitando quanto più possibile l’effettivo utilizzo del diritto naturale. Anzi, nella prassi austriaca il problema interpretativo posto dal § 7 venne semplicemente ed esclusivamente ridotto al canone dell’interpretazione analogica e quindi al tema dei casi in cui era possibile ammetterla42.

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Un panorama quindi complesso e articolato innanzi tutto a livello legislativo, e una rete di rinvii interni alla codificazione in genere intesa (le diverse articolazioni della codificazione europea moderna), che di fatto marcano modi e metodi dell’interpretazione. Nonostante i diversi itinerari prescritti dalla preleggi delle diverse codificazioni, la sensazione è che proprio sul fronte dell’interpretazione giuridica sia verificabile, quanto meno fino alla metà del secolo XIX, una sostanziale unità metodologica, pur con tutti i possibili distinguo.

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Considerato poi quanto verificato in quest’occasione, e cioè un rinvio costante anche da parte dei giuristi del Lombardo-Veneto alle fonti legislative e dottrinali francesi, è facile individuare infine una sostanziale unità della scienza giuridica di questa fase, una sorta di “diritto comune della codificazione” dove il Corpus iuris civilis arretra sullo sfondo (ma assolutamente non scompare) e il riferimento normativo-autoritativo principe (quello che legittima il ragionamento giuridico) è costituito dai codici contemporanei intesi nel loro insieme.

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Si tratta di un’ulteriore dimostrazione del passaggio non istantaneo al nuovo sistema legislativo, al codice dello Stato come unica fonte di riferimento normativo (e interpretativo), all’ “assolutismo giuridico”43. Passaggio definitivo e netto che almeno lungo la prima metà del XIX secolo non è probabilmente mai avvenuto, e che comunque non ha definitivamente compromesso tutti gli spazi di quell’ “interpretazione creativa” che per secoli era stata la prerogativa del giurista europeo44.

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Il codice ottocentesco costituisce un reale scavalcamento e sostituzione del precedente sistema normativo, e i diversi codici configurano risposte adeguate alle esigenze e richieste (talvolta anticipandole, come nel caso austriaco) di rinnovamento giuridico che provengono dai gruppi sociali economicamente e politicamente attivi. A fronte di ciò nei primi decenni del secolo il sistema della scienza giuridica si mantiene unitario, almeno sotto il profilo dei metodi e delle fonti, diversificate, in buona parte mutate, ma comunque istintivamente condivise. Certo, si assiste a una certa discrasia tra testo normativo e contesto scientifico. Col passare del tempo da una parte i codici civili diventeranno sempre più chiaramente strumento della libera iniziativa privata, e quindi confermeranno la loro portata innovatrice su scala continentale, dall’altra la dottrina giuridica ripiegherà - nel suo versante “esegetico” - verso il contesto codicistico nazionale.

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Allo stesso tempo, però, i giuristi – quelli tra loro scientificamente più ambizioso, seppure innanzi tutto “avvocati” – saranno sempre più influenzati dalle dottrine (a ispirazione “anticodicistica”) di matrice germanica, destinate esse ad assumere piena dimensione europea, con nuova condivisione di fonti e metodologie.
Alla fine si era certo condizionati nell’applicazione della legge dalla codificazione locale, ma a livello scientifico, passata la temperie rivoluzionaria e tramontato quel filone dell’Illuminismo che aveva marcato in modo indelebile il progresso della cultura giuridica, il ruolo dell’interprete – attrezzato di una tastiera di fonti, se possibile ancora più ampia che in passato – doveva essere comunque ancora un ruolo da protagonista.

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Note in calce:

1 Particolarmente efficace la ricostruzione di E. Dezza, Lezioni di Storia della codificazione civile. Il Code civil (1804) e l’Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch (ABGB, 1812), seconda ed., Torino, Giappichelli, 2000.

2Una recente ricostruzione dei passaggi verso la realizzazione dell'ABGB in W. Brauneder, Vernünftiges Recht als überregionales Recht: Die Rechtsvereinheitlichung der österreichischen Zivilrechtskodifikationen 1786 – 1797 – 1811, in R. Schulze (hrsg.), Europäische Rechts- und Verfassungsgeschichte. Ergebnisse und Perspektiven der Forschung, Berlin, Duncker & Humblot, 1991,pp. 121-137

3 Su queste correnti di pensiero giuridico e sulla loro influenza rimane fondamentale G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. I: Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, il Mulino, 1976, pp. 97 ss. Cfr. M. R. Di Simone, Aspetti della cultura giuridica austriaca nel Settecento, Roma, Bulzoni, 1984.

4 R. Ferrante, Dans l’ordre établi par le Code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’Illuminismo giuridico, Milano, Giuffrè, 2002.

5 P. A. Fenet, Recueil complet des travaux préparatoires du Code civil, t. II, Osnabrück, O. Zeller, 1968 (1827), pp. 3 – 8, per il testo; circa discussions, motifs, rapports et discours cfr. Ibid., t. VI; sulle discussioni cfr. anche J.-G. Locré, Législation civile, commerciale et criminelle ou commentaire et complément des codes français, t. I, Bruxelles, H. Tarlier, 1836, pp. 209 ss.; per un'analisi di questa vicenda cfr. G. S. Pene Vidari, Aspetti di storia giuridica del secolo XIX, Torino, Giappichelli, 1997, pp. 39-47.

6 C.-B.-M. Toullier, Le droit civile français suivant l’ordre du Code, nouv. ed., Bruxelles, Soc. typ. Belg, 1837, tome I, p. 34 (titre préliminaire, section X).

7 F. Laurent, Principii di diritto civile, trad. G. Trono, Napoli, L. Vallardi, 1879, vol. I, pp. 302 ss. (cap. VI, §§ 268 ss.).

8Discours préliminaire sur le projet de Code civil (I piovoso IX – 21 gennaio 1801; il testo è firmato anche da Tronchet, Bigot-Préameneu e Maleville). Sulla posizione filosofica di Portalis nel contesto dell’opera di riforma legislativa sempre importante G. Solari, L’idea individuale e l’idea sociale nel diritto privato. I. L’idea individuale, Milano – Torino – Roma, Bocca, 1911, pp. 165 ss.; sulla codificazione civilistica francese, sulle influenze della dottrina del diritto naturale, su Portalis e sul superamento della “tesi illuministico-rivoluzionaria dell’assoluto primato della legislazione”, cfr. M. A. Cattaneo, Illuminismo e legislazione, Milano, Comunità, 1966, pp.115 – 129. Nella storiografia più recente: B. Beigner, Portalis et le droit naturel dans le Code civil, in “Revue d'histoire des facultés de droit et de la science juridique”, 6 (1988), pp. 77 – 101; M. Long – J.-C. Monier, Portalis. L'esprit de justice, Paris, Michalon, 1997; M.-A. Plesser, Jean Etienne Marie Portalis und der Code civil, Berlin, Duncker & Humblot, 1997 (in particolare cfr. pp. 42 ss.). Per il quadro generale ormai un “classico” è A.-J. Arnaud, Les origines doctrinales du Code civil français, Paris, LGDJ, 1969.

9 G. Oberkofler, Franz Anton Felix vin Zeiller. 1751 – 1828, in W. Brauneder (hrsg.), Juristen in Österreich. 1200 – 1980, Wien, Orac, 1987, pp. 97 ss.; G. Kohl, s. v. , inM. Stolleis (hrsg.), Juristen. Ein biografisches Lexikon von der Antike bis zum 20. Jahrhundert, München, Beck, 1995,pp. 668 – 670. Per un suo inserimento nella vicenda generale della codificazione ancora utile F. Wieacker, Storia del diritto privato moderno, I, Milano, Giuffrè (Privatrechtsgeschichte, Göttingen, 1967), 1980, pp. 514 ss.

10 Rinvio su questo punto a R. Ferrante, Dans l’ordre établi par le Code civil (Nota 4), passim

11 Si puo partire dalle considerazioni autorevolmente espresse in P. Caroni, Saggi sulla storia della codificazione, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 63 – 64. Per la bibliografia tradizionale cfr. innanzi tutto S. Dniestrzanski, Die natürliches Rechtsgrundsätze (§7 ABGB), in Festschrift zur Jahrhundertfeier des Allgemeinen bürgerlichen Gesetzbuches. 1 Juni 1911, II, Wien, Manzsche, K. U K. Hof-Verlags, 1911, pp. 3 – 35.

12 F. Wieacker, Storia del diritto privato moderno, I (Nota 9), pp. 493 ss. Si sottolinea la matrice giusnaturalistica dell'ABGB in W. Brauneder, Naturrecht und Kodifikation, in Id. (hrsg.), Juristen in Österreich (Nota 9), pp. 58 ss. Sulla categoria “codificazioni giusnaturalistiche”, con taglio critico, P. Caroni, Saggi sulla storia della codificazione (Nota 11), pp. 55 ss., nella quinta delle sue “lezioni catalane” dedicata appunto a Le codificazioni giusnaturalistiche, cioè ALR, AGBG, e Code civil (con aggiornata bibliografia in tema di ABGB, come anche in Id., La storia della codificazione e quella del codice, cfr. infra Nota 40).

13 Per inciso, le “ressurezioni” del diritto naturale tra Otto e Novecento saranno – come dire – “tutta un’altra storia”; su questo, con un inserimento nel contesto generale, cfr. l’esauriente sintesi di M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione storica, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 34-39.

14 F. S. Nippel, Comento sul Codice civile generale austriaco con ispeciale riguardo alla pratica, t. I, Pavia, Fusi, 1836, pp. 86 – 87. Cfr. G. Wesener, Franz Xaver Nippel von Weyerheim. 1787 – 1862, in W. Brauneder (hrsg.), Juristen in Österreich (Nota 9), pp.132.

15 G. Winiwarter, Il diritto civile universale austriaco sistematicamente esposto ed illustrato, Parte prima: del diritto delle persone giusta il Codice civile universale austriaco, trad. A. Callegari, II ed., Venezia, G. Antonelli, 1845, pp. XI-XII. Cfr. H. Hofmeister, Joseph Ritter von Winiwarter. 1780 – 1848, in W. Brauneder (hrsg.), Juristen in Österreich (Nota 9), pp. 125 ss.

16 F. De Zeiller, Commentario sul Codice civile universale per tutti gli stati ereditari tedeschi della monarchia austriaca, a cura di G. Carozzi, Milano, A. F. Stella – F. Baret, 1815.

17 La citazione è del libro I cap III dell’opera di Montesquieu. Preliminarmente (§ II) Zeiller dà alcune sintetiche – ma emblematiche – indicazioni bibliografiche di filosofia del diritto (diritto naturale e filosofia delle leggi), dal suo Das natürliche Privatrecht al Lehrbuch des Naturrechts als einer Philosophie des positiven Rechts di Gustav Hugo, passando attraverso Das natürliche öffentliche Recht nach den Lehrsätzen des Freiherrn C.A.v. Martini vom Staatsrecht... di Franz Edler Egger.

18 Circa l’interesse di Zeiller per il Code Napoléon, (oltre che in generale sulla temporanea vigenza del codice francese in alcune zone dell’area austriaca), cfr. W. Brauneder, Le Code Napoléon dans la monarchie des Habsbourg, in J.-J. Clère – J.-L. Halpérin, Ordre et désordre dans le système napoléonien, Colloque du 22-23 juin 2000, Paris, La Mémoire di Droit, 2003, pp. 305 – 313.

19 F. De Zeiller, Commentario sul Codice civile universale (Nota 16),pp. 62-63.

20Ibid., pp. 71-73.

21 Su questa vicenda cfr. M. R. Di Simone, L'introduzione del Codice civile austriaco in Italia. Aspetti e momenti, in Studi in memoria di Gino Gorla, II: Dialogo tra ordinamenti, diritto dei commerci e diritto europeo iura naturalia e diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 1994, pp. 1015 ss.

22Dei difetti del codice civile italico che porta il titolo di Codice Napoleone e dei pregj del Codice civile austriaco, Vicenza, Parise, 1815, p. IV. Cfr. M. R. Di Simone, L'introduzione del Codice civile austriaco in Italia (Nota 21), pp. 1022 – 1028.

23 C. A. Cannata, Onofrio Taglioni. 1782 – 1823, in W. Brauneder (hrsg.), Juristen in Österreich (Nota 9), pp. 128 – 132.

24O. Taglioni, Commentario al codice civile austriaco, Milano, Visaj, 1816-1825; il testo è in dieci volumi e gli ultimi due sono opera da G. Carozzi (su cui cfr. infra).

25Discours prononcé le premier frimaire an XII, pour la reprise des travaux de l’Académie de législation par le conseiller d’état Portalis, son President, in Mémoires de l’Académie de législation, tome second, Paris, an XII.

26O. Taglioni, Commentario al codice civile austriaco p. 41 (Dig. 1.1.10).

27 G. Carozzi, Giurisprudenza del Codice civile universale della monarchia austriaca…, Milano, Visconti e Martinelli, 1818, pp. 115-116; in seguito Carozzi si sarebbe occupato in particolare di contratti, ma anche di diritto penale

28 Cfr. E. D’Amico, Agostino Reale e la civilistica lombarda nell’età della Restaurazione, in Studi di Storia del diritto, II, Milano, Giuffrè, 1999, pp. 772-818.

29 Cfr. la sua traduzione (segnalata in M. T. Napoli, La cultura giuridica europea in Italia. Repertorio delle opere tradotte nel secolo XIX, I: Tendenze e centri dell’attività scientifica, Napoli, Jovene, 1987, pp. 143 – 144) di A. M. J. J Dupin (ainé), Compendio storico del diritto romano da Romolo sino a’ nostri giorni del Signor Dupin… Volgarizzamento della terza edizione francese con note, e giunta di un compendio storico del diritto civile italico ed austriaco e del diritto canonico del G. C. A. Reale, Pavia, Fusi – Galeazzi, 1821.

30Del diritto commerciale e marittimo secondo le leggi austriache ed italiche nella parte in cui queste sono mantenute in vigore nel Regno lombardo-veneteo. Dissertazioni del..., Pavia, Bizzoni – Bolzani, 1822.

31 D. Martinez, Al Codice civile austriaco… spiegazioni dell’introduzione e dei capitoli I e II, parte prima del detto codice, Milano, R. Fanfani, 1823.

32 G. Winiwarter, Il diritto civile universale austriaco (Nota 15), p. 99.

33 D. A. Amati, Manuale sul codice civile generale austriaco i di cui paragrafi sono coordinati e confrontati colle leggi ed ordinanze che vi si riferiscono…terza edizione notabilmente accresciuta e migliorata… dalla nuova per cura del G. C. G. A. Castelli già pubblicata il 16 settembre 1839, Milano, P. M. Visaj, 1844. [G. A.] Castelli, Il codice civile generale austriaco confrontato con le leggi romane e col già Codice civile d’Italia, 6 voll., Milano, P. M. Visagi, 1831-1833; Id., I paragrafi del Codice civile generale della monarchia austriaca…, Milano, M. Carrara, 1830; Id., Le disposizioni del regolamento generale del processo civile, in armonia tra loro ed in riscontro con gli altri codici…, Milano, M. Carrara, 1832; Id., Manuale di Codice di commercio con note…, Milano, P. M. Visaj, 1840.

34 J. Mattei, I paragrafi del Codice civile austriaco avvicinati dalle leggi romane, francesi e sarde schiariti e suppliti dalle opinioni dei più celebri scrittori di diritto, specialmente del Voet, Domat, Pothier, Fabro, Richeri, Merlin, Toullier, Duranton, Troplong, Delvincourt, ec.; dalle decisioni dei tribunali francesi ed austriaci e dalle patenti, sovrane risoluzioni, notificazioni, circolari, ec., Venezia, P. Naratovich, 1852.

35 Così nelle inedite “lezioni sul diritto civile” pubblicate in G. D. Romagnosi, Opere, a cura di A. De Giorgi, vol. II, p. I, Milano, Perelli e Mariani, 1845, p. 93. Gli articoli riportati dal progetto del codice sono quelli trascritti - siamo nello stesso periodo - anche da Toullier (cfr. supra).

36 In genere per Romagnosi le “nozioni preparatorie della scienza della ragion civile” almeno “in parte corrispondono al primo titolo del Progetto di Codice civile francese”, ibid., p. 27. Ancora in seguito precisa di volere trattare “della natura, del soggetto e dei rapporti delle leggi, della loro divisione, pubblicazione, effetti, applicazione e interpretazione ed abrogazione, prendendo il titolo secondo e seguenti del libro preliminare del Progetto del Codice civile francese e i titoli II, III, IV dei Digesti, come testi da commentarsi”, ibid., p. 28.

37 J. Mattei, I paragrafi del Codice civile austriaco (Nota 34) , p. 44.

38 J. Mattei, Il Codice civile italiano nei singoli articoli col confronto, produzione o riferimento delle leggi romane e delle disposizioni dei codici francese, sardo, napoletano, parmense, estense ed austriaco colle opinioni di Voet, Fabro, Richeri, Domat, Pothier, Merlin, Delvincourt, Toullier, Duvergier, Duranton, Zachariae, Troplong, Mourlon, Marcadè, Demolombe, Grenier, ecc., Bianchi, Pacifici-Mazzoni, Saredo, Borsari, ecc., con riferimento alle decisioni delle Corti d’appello e di Cassazione francesi, dei Superiori tribunali austriaci, e precipuamente alle decisioni delle Corti d’appello e delle e Cassazioni del Regno…, vol. I, Venezia, Naratovich, 1873, pp. 14-20.

39 G. Basevi, Annotazioni pratiche al Codice civile austriaco… settima edizione notabilmente aumentata e in più luoghi emendata dall’autore, Milano, D. Bolchesi, 1859, p. 21.

40 Sulla elaborazione di questa parte del codice albertino, ma poi anche di quello unitario, cfr. G. S. Pene Vidari, Aspetti di storia giuridica del secolo XIX (Nota 5), pp. 55-63. Su completezza ed esaustività come canoni identificativi della codici “moderni” cfr. G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna (Nota 3), pp. 18 ss.; contra: U. Petronio, La lotta per la codificazione, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 107 ss. (dove l’autore ribadisce anche tesi già sostenute in precedenza, ad esempio in Diritti particolari e codificazione. Il caso del Code civil, in Diritti generali e diritti particolari nell’esperienza storica, Atti del Congresso internazionale della Società di italiana di storia del diritto, Torino, 19-21 novembre 1998, Roma, Fondazione S. Mochi Onory, 2001, pp. 351 ss., dove cfr. anche le controargomentazioni al riguardo di P. Grossi, Considerazioni conclusive. Il periodo medievale e moderno, Ibid., pp. 490 ss.). Caroni ricorda come la formula “principi generali del diritto”, e a partire da quella originaria del §7 austriaco (i “natürliches Rechtsgrundsätze”) e dalla sua Pandektisierung, sia stata utilizzata ad un certo punto per un tentato recupero del diritto comune come fonte sussidiaria: P. Caroni, La storia della codificazione e quella del codice, in “Index. Quaderni camerti di studi romanistici”, 29 (2001), pp. 60 – 61, e , per i riferimenti bibliografici, le note 25-27 a p.75; cfr. anche, in specifico per il caso italiano, F. Colao, Progetti di codificazione civile nella Toscana della Restaurazione, Bologna, Monduzzi, 1999, pp. 167 - 170

41 “Se si esaminano i commenti al codice austriaco è facile rilevare che né le proclamazioni metodologiche né le prassi operative seguite dagli autori differiscono granché da quella dei membri della cosidetta école de l'exégèse, salva una certa maggior intraprendenza di questi ultimi. (...) Il primo dato che si ritrae da un confronto tra l'esperienza francese e quella austriaca è dunque che in quest'ultima la mole delle interpretazioni dottrinali al codice non raggiunge quella massa critica che in Francia ha reso l'école de l'exégèse una guida completa e sicura per gli operatori del diritto. In secondo luogo è da rilevare che nella esperienza austriaca pesò l'assenza di un tribunale supremo che svolgesse una funzione di nomofilachia paragonabile a quella della Cour de Cassation de France. È ben noto infatti che l'efficacia di un insegnamento dottrinale dipende, nel breve e medio periodo, dalla sua capacità di persuasione. Questa capacità si esplica nel modo più pregnante ove si rivolga a giuristi indipendenti quali sono, normalmente, i giudici; si attutisce di molto sino a scomparire, quando le argomentazioni della dottrina si rivolgono ad uffici burocratici che sono retti dal principio dell'autorità gerarchica”. Così A. Gambaro, Codice civile, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, Torino, UTET, 1988, p. 453 (ma cfr. passim pp. 442 – 457).

42 Cfr. le massime, tutte appunto in tema di applicazione analogica di norme, raccolte intorno al §7 in Collezione di decisioni dell’I. R. suprema corte di giustizia, nonché dei dicasteri ministeriali, tribunali dell’Impero e tribunale amministrativo in Vienna riferibili al Codice civile universale austriaco, compilata per cura di A. Gelcich, vol. I, Innsbruck, Libreria accademica wagneriana, 1888, pp. 48-57 (nn. 155-183).

43 Su questa lenta transizione cfr. il complesso delle riflessioni di P. Caroni, La storia della codificazione e quella del codice (Nota 40), pp. 55 – 81; Id., Il codice rinviato. Resistenze europee all’elaborazione e alla diffusione del modello codicistico, in Codici. Una riflessione di fine millennio, Atti del convegno di Firenze 26-28 ottobre 2000, a cura di P. Cappellini e B. Sordi, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 263 – 307. Sulla categoria “assolutismo giuridico” cfr., ovviamente, P. Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, Giuffrè, 1998, passim.

44 La categoria “interpretazione creativa”, frequentemente utilizzata dagli storici del diritto, a un esame approfondito può risultare a propria volta ricca di implicazioni concettuali. Tra i più recenti filosofi del diritto se ne è occupato ad esempio Dworkin, sulle cui posizioni in tema, appunto, di “interpretazione creativa” si sofferma analiticamente A. Schiavello, Diritto come integrità: incubo o nobile sogno? Saggio su Ronald Dworkin, Torino, Giappichelli, 1998, pp. 117 e ss. (cfr. il saggio di R. Dworkin, Law as Interpretation, in W. J. T. Mitchell (ed.), The Politics of Interpretation, The Chicago U. P., Chicago – London, 1983, e poi Id., Law’s Empire, Fontana Press, London, 1986).

Date added Jan. 30, 2006
© 2006 fhi
ISSN: 1860-5605
First publication
Jan. 30, 2006

  • citation suggestion Riccardo Ferrante, Un ruolo per l'nterprete: la scienza giuridica italiana tra Code Napoléon e ABGB (Jan. 30, 2006), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net2006-01-ferrante