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Andrea Mazzoleni (Università degli Studi di Milano)

D.14.4.1.1 e il concetto di merx peculiaris nella disciplina edittale dell’actio tributoria.

1 L’actio tributoria nel quadro della responsabilità adiettizia.

1A partire dalla fine del terzo secolo a.C., i pretori inserirono nei propri editti alcuni strumenti volti a sanzionare la responsabilità dell’avente potestà per le obbligazioni assunte, nei confronti dei terzi, dai filii familias e dagli schiavi.

2Si tratta delle cosiddette actiones adiecticiae qualitatis. Fra queste, le actiones institoria, exercitoria e quod iussu sancivano, a certe condizioni, la responsabilità illimitata del dominus per i negozi conclusi dai sottoposti. L’actio de peculio et de in rem verso e l’actio tributoria, invece, riguardavano l’ipotesi in cui il soggetto in potestà impiegasse un peculium, ovvero un insieme di beni o denaro che, pur restando di proprietà del dominus, era assegnato in gestione al sottoposto. In tali ipotesi, la responsabilità adiettizia del dominus rimaneva confinata entro il limite rappresentato dall’ammontare del peculio medesimo. In particolare, mentre l’actio de peculio costituiva il rimedio generale concesso ai terzi contraenti con un soggetto munito di peculio, l’editto de tributoria actione riguardava, invece, il caso specifico in cui il sottoposto avesse esercitato un’attività commerciale.

3Il pretore, con l’actio tributoria, riconobbe ai terzi contraenti con il sottoposto il diritto di agire, per la soddisfazione dei propri crediti, contro l’avente potestà che fosse stato a conoscenza dell’impresa servile. La responsabilità dominicale, in tal caso, restava limitata all’ammontare della c.d. merx peculiaris, ossia di quella porzione di peculio che il servus avesse concretamente destinato all’esercizio della negotiatio1.

4Ma non è tutto: la ripartizione dell’attivo commerciale sarebbe avvenuta assicurando la par condicio di tutti i creditori dell’attività commerciale, ivi compreso, eventualmente, il dominus stesso. Costui, infatti, avrebbe perduto il beneficio di soddisfarsi con preferenza sui beni del suo sottoposto (c.d. beneficium deductionis), privilegio riconosciutogli, invece, nel caso in cui fosse stato convenuto in giudizio attraverso lo strumento generale rappresentato dall’actio de peculio2.

2 D.14.4.1.1, la merx peculiaris e il problema dell’ambito economico di applicazione dell’editto.

5Le fonti testimoniano chiaramente come, al fine di delimitare l’ambito economico di applicazione dell’editto de tributoria actione, gli interpreti concentrassero la propria attenzione sul concetto di merx peculiaris.

6Con questa espressione, i giuristi non solo erano soliti indicare la parte di peculio oggetto di negotiatio da parte del servo, ma anche si riferivano alle attività il cui esercizio, da parte del sottoposto, astrattamente legittimava l’esperimento della tributoria contro l’avente potestà3.

7In questa prospettiva, quindi, pare che i giuristi ricercassero, attraverso la definizione del concetto di merx peculiaris, il criterio in base al quale una negotiatio potesse o meno essere ritenuta provvista di quel carattere latamente “commerciale” che aveva giustificato l’introduzione, da parte del pretore, di un rimedio ulteriore e specifico rispetto alla semplice actio de peculio4.

8Cerchiamo, quindi, di approfondire quest’aspetto.

9Il primo passo che deve essere preso in considerazione, escerpito dal ventinovesimo libro del commento ulpianeo all’editto, è certamente D.14.4.1.1:

10D.14.4.1.1 (Ulp. 29 ad ed.): Licet mercis appellatio angustior sit, ut neque ad servos fullones vel sarcinatores vel textores vel venaliciarios pertineat, tamen Pedius libro quinto decimo scribit ad omnes negotiationes porrigendum edictum.

11Sebbene il significato del termine merx (mercis appellatio), scrive Ulpiano, sia più ristretto (angustior), sicché non riguarda mai i servi tintori (fullones), sarti (sarcinatores), tessitori (textores) o mercanti di schiavi (venaliciarios), tuttavia Pedio, nel libro quindicesimo, scrive che l’editto deve essere esteso a tutte le attività negoziali (ad omnes negotiationes porrigendum edictum).

12Il frammento, nelle sue poche righe, esprime per intero il problema dell’ambito economico di applicazione della tributoria. Detto problema, evidentemente, aveva diviso la giurisprudenza antica ben prima di affaticare, nei secoli successivi, la dottrina romanistica.

13L’analisi del passo non può che prendere le mosse dagli elementi certi in nostro possesso, che possono sinteticamente riassumersi come segue:

  • l’editto de tributoria actione, nella sua formulazione letterale, faceva riferimento alla merx peculiaris, ovvero, testualmente, alla merce che fosse parte del peculio5.
  • Una parte della giurisprudenza, almeno originariamente, doveva interpretare il termine merx in modo letterale. L’ambito di applicazione della tributoria, di conseguenza, era circoscritto al solo esercizio, da parte del sottoposto concessionario di peculio, dell’attività consistente nello scambio di merces. Ciò, a giudizio di chi scrive, emerge innanzitutto dalla qualificazione ristretta che Ulpiano preliminarmente attribuisce al significato del termine merx (licet mercis appellatio angustior sit), nonché dal successivo sviluppo del discorso, che sembra presupporre l’esistenza di un dibattito sul punto.
  • Ulpiano sottolinea come il concetto di merx, proprio a causa del suo significato angustior, non potesse essere esteso fino a comprendere le ipotesi in cui il sottoposto avesse esercitato le attività di tintore, di sarto, di tessitore, o di mercante di schiavi (…ut neque ad servos fullones vel sarcinatores vel textores vel venaliciarios pertineat).
  • Lo stesso Ulpiano, però, ci informa anche dell’esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale, decisamente più estensivo, che il giurista riconduce all’opinio di Pedio. Secondo quest’ultimo, a prescindere dal tenore letterale dell’editto (…tamen Pedius libro quinto decimo scribit…), l’ambito di applicazione della tributoria avrebbe dovuto essere ampliato sino a ricomprendere ogni tipo di negotiatio che, con risorse peculiari, fosse stata esercitata dal sottoposto(…ad omnes negotiationes porrigendum edictum).

14Se questi aspetti emergono piuttosto chiaramente dal testo del frammento, vari sono i problemi ancora aperti, la cui soluzione, considerato lo stato delle fonti in nostro possesso, non può che restare relegata nel campo delle ipotesi6. Cionondimeno, anche le ipotesi non sono prive di valore, almeno quando la loro veridicità emerga da un accurato vaglio delle diverse soluzioni possibili.

3 L’originario ambito di applicazione dell’actio tributoria.

15Ammesso che, come pare evidente, il tema sia stato oggetto di una progressiva evoluzione nel corso dei secoli, dobbiamo innanzitutto tentare di ricostruire l’originario ambito di applicazione della tributoria.

16D.14.4.1.1, sul punto, poco ci può aiutare: nel citato passo, infatti, Ulpiano si limita ad esordire ricordando come il termine merx, di regola, avesse un suo preciso, ristretto significato. Un significato che, di per sé, non poteva essere esteso indiscriminatamente fino a ricomprendere ogni tipo di attività. L’impressione, in effetti, è che il giurista abbia voluto riferirsi al significato che il termine merx tipicamente assumeva nel comune linguaggio giuridico.

17Con esso, per forza di cose, gli interpreti avrebbero dovuto fare i conti (dato il tenore letterale dell’editto) laddove avessero voluto estendere l’ambito di applicazione della tributoria anche ad attività diverse da quelle di scambio.

18L’originario significato del termine merx può rintracciarsi, a giudizio di chi scrive, in un passo di Paolo dedicato alla nascita del contratto di compravendita, confluito in D.18.1.1pr7:

19D.18.1.1pr (Paul. 33 ad ed.): Origo emendi vendendique a permutationibus coepit. olim enim non ita erat nummus neque aliud merx, aliud pretium vocabatur, sed unusquisque secundum necessitatem temporum ac rerum utilibus inutilia permutabat, quando plerumque evenit, ut quod alteri superest alteri desit. sed quia non semper nec facile concurrebat, ut, cum tu haberes quod ego desiderarem, invicem haberem quod tu accipere velles, electa materia est, cuius publica ac perpetua aestimatio difficultatibus permutationum aequalitate quantitatis subveniret. eaque materia forma publica percussa usum dominiumque non tam ex substantia praebet quam ex quantitate nec ultra merx utrumque, sed alterum pretium vocatur.

20Paolo individua l’origine del contratto di compravendita nella pratica del baratto. In un lontano passato infatti, quando la moneta e i concetti di merce e di prezzo ancora non esistevano, ciascuno avrebbe scambiato, secondo le proprie necessità, cose inutili con cose utili, visto che spesso quanto serviva ad uno era superfluo per un altro. Poiché però, prosegue il giurista, non sempre accadeva che, quando uno desiderasse qualcosa da un altro, altresì possedesse ciò che quest’ultimo voleva in cambio, fu scelta una materia il cui valore pubblico e costante (publica ac perpetua aestimatio) ovviasse alle difficoltà delle permute, attraverso l’uguaglianza della quantità: la moneta. Si trattava di una materia contrassegnata da un pubblico conio (materia forma publica percussa), valutata non in base alla sua materia intrinseca (substantia), quanto piuttosto in rapporto alla sua quantità (quantitas). Con con la sua introduzione, negli scambi, si determinò la differenza fra merx e pretium.

21Il frammento è ricco di spunti interessanti, non solo in materia di compravendita e permuta8, ma anche al fine di ricostruire una “teoria della moneta” in Paolo e nell’antica giurisprudenza romana9.

22In questa sede, tuttavia, mi limito ad osservare come la merx, per Paolo, fosse il bene scambiato col prezzo nell’ambito di un contratto di compravendita. Insomma, individuando genericamente il bene suscettibile di essere venduto e acquistato, il concetto di merce appariva profondamente legato «all’esercizio del comprare e del vendere, dello scambiare cose con denaro»10.

23È poi lo stesso Ulpiano, in D.50.16.66 (Ulp. 74 ad ed.), a precisare che “mercis appellatio ad res mobiles tantum pertinet”. Ecco allora che, in generale, possiamo osservare come il termine merx, comunemente inteso, doveva compiutamente indicare ogni bene mobile e venale che fosse oggetto di commercium11.

24In questa prospettiva, anche il termine “commercium” finiva per assumere un significato piuttosto preciso e a sua volta circoscritto, costituendo, per così dire, un genus all’interno della più ampia species delle negotiationes12.

25Non ogni attività economica stabilmente organizzata per il conseguimento di un profitto13 era infatti commercium, ma solamente quella avente ad oggetto l’acquisto e la rivendita di merces, intese come “beni mobili e venali suscettibili di scambio”14.

26Conseguentemente, vale altresì «la pena di sottolineare come il termine negotiator, almeno sino alla seconda metà del I secolo d.C., fosse rimasto abbastanza distinto da quello di mercator. Infatti, negotiator sembra essere colui il quale esercita in una struttura stabile e fissa una determinata attività, sia essa di rivendita o di carattere artigianale, o attinente al settore dei “servizi”. Mercator invece è chi specificamente compra qualcosa al fine di rivenderla, non operando necessariamente in un dato luogo ma anche trasportando da un posto all’altro le sue merci. Anche questa attività ha la caratteristica di essere continuativa»15.

27Se questo doveva essere l’originario significato di merx e di mercatura, l’esordio di D.14.4.1.1 si rivela abbastanza comprensibile: Ulpiano, pur operando in un’epoca in cui (come dimostra il successivo sviluppo del discorso) la prassi già era giunta ad estendere (in che misura cercheremo di comprenderlo fra poco) l’ambito economico di applicazione della tributoria, avverte comunque la necessità di dar conto del principale ostacolo che, in sede interpretativa, la giurisprudenza aveva incontrato imboccando tale via.

28Detto ostacolo era rappresentato proprio dall’angustior appellatio del termine merx, cui la lettera edittale faceva esplicito riferimento.

29È, questo, un dato che non si può certo ignorare allorquando, come si tenta di fare in questa sede, ci si accinga alla ricostruzione di una disciplina la cui estensione e rilevanza paiono esser state variabili nel corso del tempo.

30Il tenore edittale, la generale nozione di merx come altrove emerge nelle fonti, l’esistenza di un dibattito giurisprudenziale in ordine alla sua interpretazione sono tutti elementi che testimoniano in modo piuttosto chiaro come, almeno ai suoi primordi, l’editto de tributoria actione fosse stato concepito per l’ipotesi in cui un sottoposto avesse esercitato, mediante risorse peculiari, un’attività di commercium in senso stretto. Un’attività, cioè, che doveva precisamente consistere nell’acquisto e nella successiva rivendita di merces, intese come beni mobili e venali destinati allo scambio16.

4 L’estensione della tutela: ad omnes negotiationes porrigendum edictum?

31Visto il punto di partenza, dobbiamo a questo punto chiederci se sia possibile ripercorrere le tappe del percorso, insieme interpretativo e creativo, che condusse la giurisprudenza ad espandere l’area di operatività dell’actio tributoria. Tale percorso ebbe probabilmente il suo estremo sviluppo nell’opinione che Ulpiano, in D.14.4.1.1, riconduce a Pedio.

32Quest’ultimo, abbiamo visto, riteneva che la tutela assicurata dalla tributoria dovesse, in fin dei conti, venire estesa ad omnes negotiationes. In questo modo, bisogna riconoscerlo, egli finisce per disattendere il tenore letterale dell’editto. Eppure, l’idea che ogni negotiatio implichi, accanto alla tutela garantita dall’actio de peculio et de in rem verso, anche quella assicurata dalla tributoria, affonda verosimilmente le sue radici «nella considerazione del principio sotteso alla norma, considerato il dato ermeneutico prioritario»17. Posto che la ratio della previsione edittale era la tutela dei creditori dei soggetti in potestà esercenti, sciente domino, attività “imprenditorialmente” organizzata, una sua applicazione limitata alle sole attività in cui ci fosse negotiatio di merces in senso stretto avrebbe finito col realizzare una evidente disparità di trattamento. Soprattutto, bisogna evidenziare, in un contesto economico e sociale caratterizzato dall’aumento dei genera di attività affidati all’iniziativa di individui in potestate18.

33Ecco allora che Pedio, pur consapevole del significato ristretto della previsione edittale nella sua originaria configurazione, rimediava a tale ingiustizia «attraverso un’interpretazione innovativa della clausola edittale, estendendo cioè il suo ambito di applicazione»19 anche al di là dei confini semantici sino a quel momento più o meno pacificamente riconosciuti. Tale estensione giunse a ricomprendere ogni tipo di negotiatio che fosse esercitata, sciente domino, da un soggetto in potestà concessionario di peculium.

34A questo punto, avendo individuato da un lato il probabile punto di partenza di questa vicenda (l’originario significato di merx), e dall’altro il suo estremo sviluppo (l’interpretazione estensiva che Ulpiano riconduce a Pedio), non ci resta che tentare di riavvolgere, fra le intricate trame della storia, il filo evanescente che lega l’uno all’altro.

35Il primo indizio da valutare emerge, a giudizio di chi scrive, proprio da D.14.4.1.1. Abbiamo visto infatti che Ulpiano, subito dopo aver ricordato l’angusto significato di merx, ma prima di citare l’orientamento di Pedio, individua quattro attività il cui esercizio da parte del servus non avrebbe potuto essere ricondotto entro i confini semantici dei verba edicti (neque… pertineat). Si tratta, in particolare, delle attività svolte dai servifullones, vel sarcinatores, vel textores, vel venaliciarii, ovvero, rispettivamente, dagli schiavi tintori, sarti, tessitori e mercanti di schiavi.

36Un aspetto merita, fin dal principio, di essere evidenziato: delle quattro attività citate da Ulpiano, le prime tre consistono, più che nello scambio di merces, nello svolgimento di prestazioni aventi carattere artigianale, rientranti nel settore che oggi potremmo definire dei “servizi”.

37Dette attività, inoltre, appaiono tutte riconducibili nella medesima “area di mercato”, quella della lavorazione dei tessuti.

38I fullones infatti, come pure i sarcinatores e i textores, intervenivano nel processo di produzione (o di riparazione) di beni (filati e tessuti) che altri affidavano loro temporaneamente, al fine di veder completata una certa lavorazione del prodotto (la tintura, la tessitura, la confezione di abiti etc.). Insomma, pur svolgendo un’attività economica organizzata, questi soggetti non si dedicavano tecnicamente allo scambio di merci e, di conseguenza, non potevano essere considerati mercatores. E in questa impossibilità doveva verosimilmente annidarsi la ratio della loro esclusione dall’ambito economico di applicazione dell’actio tributoria.

39Se così è per le prime tre attività menzionate da Ulpiano, che dire, invece, dei mercanti di schiavi? L’ipotesi, in effetti, si distingue nettamente dalle precedenti, sia per il settore economico cui afferisce, sia perché essa, avendo ad oggetto l’acquisto e le commercializzazione di beni mobili e venali (e in particolare di resmancipi), innegabilmente costituiva un’attività di scambio20. La ragione di una tale esclusione, si osserva solitamente in dottrina, dovrebbe risiedere nella riluttanza, da parte della giurisprudenza romana, a qualificare gli schiavi come merx e, conseguentemente, i venaliciarii come mercatores.

40Siffatto approccio sarebbe testimoniato da quanto affermato da Africano nel noto D.50.16.207:

41D.50.16.207 (Afr. 3 quaest.): mercis appellatione homines non contineri Mela ait: et ob eam rem mangones non mercatores sed venaliciarios appellari ait, et recte.

42Il giurista, rifacendosi all’opinio di Fabio Mela, ricorda come il termine merx non potesse a rigore riferirsi ai servi (in quanto homines) e come, pertanto, i mercanti di schiavi (mangones) non fossero chiamati mercatores, ma piuttosto venaliciarii21.

43Il passo, in effetti, ci aiuta a comprendere come mai Ulpiano abbia annoverato, fra le attività esorbitanti la sfera di operatività dell’editto, anche quella svolta dai venaliciarii: visto che gli schiavi non erano qualificabili come merx, contro l’avente potestà di un soggetto dedito, con il suo peculio, al redditizio commercio di schiavi, non sarebbe stato possibile agire mediante la tributoria22.

44Una parte della dottrina ha ritenuto di poter ravvisare, nella prima parte di D.14.4.1.1, non solo gli echi di un antico dibattito fra i giuristi romani circa l’interpretazione dell’editto, ma direttamente l’opinione di Ulpiano a proposito dell’ambito di operatività della tributoria23. Il giurista severiano, discostandosi dalla posizione di Pedio, avrebbe quindi sposato un orientamento più cauto (e, in un certo senso, più attento alla lettera edittale) rispetto al predecessore, rimarcando come il concetto di merx non potesse essere esteso indiscriminatamente sino a ricomprendere ogni tipo di negotiatio.

45In base a questa ricostruzione, l’elenco di ipotesi escluse dall’ambito della tributoria formulato da Ulpiano (fullones, sarcinatores, textores e venaliciarii), avrebbe avuto carattere presumibilmente tassativo, e non esemplificativo. E questo, peraltro, sarebbe confermato dalla natura disomogenea delle quattro attività citate24.

46In altre parole, visto che le quattro attività citate appartengono a settori economici fra loro differenti, non sarebbe possibile estrapolare dall’elencazione un divieto estensibile anche ad attività diverse da quelle espressamente menzionate. Secondo Ulpiano, quindi, le attività svolte dai servi fullones, textores, sarcinatores e venaliciarii sarebbero le uniche tassativamente escluse dall’ambito economico di applicazione dell’editto.

47Una simile conclusione, in effetti, produrrebbe importanti conseguenze ai fini del nostro discorso.

48Ritenendo esemplificativa l’elencazione delle attività escluse, si dovrebbe concludere che, all’epoca di Ulpiano, una parte (forse prevalente) della giurisprudenza ancora riservava l’applicazione della tributoria alle sole attività comportanti lo scambio di cose mobili e venali (commercium in senso stretto)25.

49Se invece ritenessimo tassativo l’elenco delle quattro attività citate in D.14.4.1.1, la posizione di Ulpiano, comunque più rigorosa rispetto a quella di Pedio, avrebbe presupposto un concetto di merx ormai “disancorato” dall’originario significato del termine. Tale nuovo significato, infatti, avrebbe abbracciato anche attività diverse ed ulteriori rispetto all’emptio venditio di beni, restandovi escluse solo le quattro ipotesi tassativamente individuate da Ulpiano nel passo.

50Seguendo quest’ultima impostazione, si dovrebbe concludere che, ai tempi di Ulpiano, la giurisprudenza prevalente adoperava un’interpretazione peculiare dei verba edicti. Tale interpretazione implicava un’idea di merx certamente più ampia di quella originaria, ma comunque non estesa al punto da riguardare qualsiasi tipo di negotiatio che il sottoposto avesse esercitato con risorse peculiari. Se così fosse, l’orientamento di Pedio sarebbe stato quindi recessivo, e avrebbe rappresentato solo un autorevole precedente che Ulpiano riteneva opportuno citare nel suo discorso.

51Proseguendo su questa linea di pensiero, sarebbero individuabili tre distinte fasi nella storia dell’interpretazione giurisprudenziale dell’editto de tributorua actione. Una prima fase legata al significato originario di merx, con conseguente applicazione dell’editto alle sole attività di scambio. Un secondo momento, a cavallo fra la fine della repubblica e il primo principato, in cui l’impostazione tradizionale sarebbe stata messa in discussione dalla giurisprudenza, nel tentativo di ampliare l’ambito economico del rimedio al di là dei ristretti confini entro i quali era nato (e in tale fase si inquadrerebbe la posizione di Pedio). Una terza fase, successiva, in cui sarebbe invece prevalso un orientamento per così dire intermedio, rappresentato dalla tesi, che potremmo definire “moderatamente restrittiva”, delineata da Ulpiano nella prima parte di D.14.1.1.1.

52In ogni caso, l’interpretazione appena esposta di D.14.4.1.1, anche se autorevolmente sostenuta, non costituisce l’unica soluzione adottabile26.

53Esiste infatti anche una seconda possibile lettura del passo che, a giudizio di chi scrive, merita di essere considerata.

54Si potrebbe cioè pensare che Ulpiano, insieme alla maggioranza degli interpreti coevi, avesse definitivamente sposato l’orientamento di Pedio che, come più volte ricordato, estendeva ad omnes negotiationes l’ambito economico di applicazione dell’editto. La prima parte di D.14.4.1.1, quindi, non avrebbe sintetizzato la soluzione prevalente ai tempi di Ulpiano ma, più semplicemente, avrebbe riassunto il dibattito giurisprudenziale in materia, ormai superato27.

55Secondo questa ricostruzione, il concetto di merx peculiaris, già verso la fine del I secolo a.C., avrebbe assunto un significato tecnico proprio, pazientemente forgiato dall’instancabile, progressivo lavoro svolto dalla giurisprudenza in sede di interpretatio dei verba edicti: da parte di peculio scambiata come merce(in senso proprio), la merx si sarebbe tramutata nell’insieme di beni peculiari funzionalmente destinati dal sottoposto all’esercizio di una certa negotiatio.

56Indizi di una simile evoluzione si possono ravvisare, infatti, non solo nei passi esaminati, ma anche in altri frammenti del commentario ulpianeo ad edictum confluiti nel Digesto. Tali testi consentono di intravedere, nel pensiero dello stesso Ulpiano, una concezione di merx peculiaris già disancorata dall’originario significato del termine, sintomatica di (e strumentale a) un’applicazione molto estesa dell’editto. Alla luce di questi passi, in effetti, l’elencazione delle quattro attività escluse, contenuta nel più volte citato D.14.4.1.1, sembra perdere parte della sua rilevanza, fino a svuotarsi, sul piano sostanziale, di ogni concretezza.

57Il primo dei passi in questione è certamente D.14.4.5.15, riguardante l’ipotesi in cui, con mezzi del medesimo peculio, il servus avesse esercitato più attività commerciali distinte:

58D.14.4.5.15 (Ulp. 29 ad ed): Si plures habuit servus creditores, sed quosdam in mercibus certis, an omnes in isdem confundendi erunt et omnes in tributum vocandi? ut puta duas negotiationes exercebat, puta sagariam et linteariam, et separatos habuit creditores. puto separatim eos in tributum vocari: unusquisque enim eorum merci magis quam ipsi credidit.

59Per Ulpiano, possiamo leggere, laddove il servus avesse plures creditores, ciascuno riferibile ad una diversa negotiatio dallo stesso esercitata con risorse peculiari (inmercibus certis), detti creditori avrebbero dovuto essere ammessi alla ripartizione separatamente. Ciascuno, infatti, era da considerarsi creditore, più che dell’unico servus, direttamente della merx da questo impiegata (unusquisque enim eorum merci magis quam ipsi credidit).

60Il testo, noto agli studiosi della materia, costituisce una preziosa testimonianza di quel fenomeno di separazione patrimoniale che, grazie all’editto, veniva a costituirsi in seno all’unico peculium. In questa sede, tuttavia, è importante concentrare la nostra attenzione sulla situazione concreta ipotizzata dal giurista per chiarire meglio il suo discorso: Ulpiano prende ad esempio il caso in cui il sottoposto avesse esercitato con risorse peculiari due distinte negotiationes, rispettivamente definite “sagaria” (cucitura e confezione di sai28) e “lintearia” (tessitura e/o commercio di lino).

61In questi settori, evidentemente, l’editto doveva ritenersi applicabile.

62E detta applicazione, dobbiamo osservare, era ammessa anche se anche se tali attività, di chiaro carattere artigianale, riguardavano la lavorazione dei tessuti. Anche se, cioè, erano concettualmente molto simili, per le loro caratteristiche ed il settore merceologico in cui si collocavano, a quelle svolte dai servifullones, sarcinatores e textores cui invece, secondo una delle possibili interpretazioni di D.14.4.1.1, l’estensione dell’editto doveva essere preclusa. Particolarmente interessante appare, tra l’altro, la motivazione che il giurista pone alla base della separazione patrimoniale delle diverse merces interne al peculium. Come abbiamo letto, infatti, ciascun creditore doveva essere chiamato alla ripartizione separatamente (rispetto agli altri creditori coinvolti in attività aventi ad oggetto una merx peculiaris diversa), perché il credito era da riferire alle merces in quanto tali, più che al servo contraente, cui le stesse erano affidate (unusquisque enim eorum merci magis quam ipsi credidit).

63In queste parole, inutile negarlo, il concetto di merx sembra proprio assumere quel significato di “patrimonio commerciale” che a buona parte della dottrina era parso di poter cogliere29.

64Insomma, ciò che emerge, qui, è quel profilo “merx – attività” cui s’è fatto riferimento: l’attività imprenditoriale assumeva una consistenza tanto rilevante agli occhi dei giuristi da indurli a parlare direttamente di creditori della “merce – impresa”, più che del “servus – imprenditore”. L’impresa peculiare, in questa prospettiva, sembra davvero acquistare vita propria e natura concettualmente distinta dal suo “organo amministrativo” (il servus) da un lato, e dal suo proprietario (il dominus) dall’altro.

65Il fatto che Ulpiano ritenesse l’editto applicabile alle negotiationessagaria e lintearia tuttavia, non è dirimente. Tale circostanza, invero, è compatibile anche con la ricordata ipotesi di Di Porto secondo cui l’opinione di Ulpiano sarebbe stata quella, moderatamente restrittiva, espressa nella prima parte di D.14.4.1.1 (e l’elenco di attività escluse ivi citate sarebbe stato tassativo).

66Infatti, l’estensione della tributoria ad attività concettualmente molto simili alle quattro espressamente escluse in D.14.4.1.1, nega il carattere esemplificativo dell’elencazione30, ma non dimostra ancora che l’orientamento infine prevalente fosse quello, più esteso, ricondotto a Pedio.

67Un’indicazione in tal senso, invece, può ricavarsi da un altro passo, sempre di Ulpiano, questa volta relativo all’ipotesi dei venaliciarii.

68Il contenuto di tale frammento, infatti, sembra parzialmente smentire (o quanto meno affievolire) l’esclusione degli schiavi dal concetto di merxpeculiaris così come interpretato dai giuristi:

69D.14.4.5.14 (Ulp. 29 ad ed.): Item si mancipia in negotiatione habuit ex merce parata, etiam haec tribuentur.

70Abbiamo visto come, secondo quanto affermato da Ulpiano in D.14.4.1.1 l’angustior appellatio del termine merx non potesse estendersi ai servi venaliciarii. Abbiamo altresì ricordato come la ragione di una tale esclusione sia stata tradizionalmente ricercata nella riluttanza della giurisprudenza romana a qualificare lo schiavo, pur sempre appartenente al genere umano, come merce. Ebbene, dobbiamo constatare come qui sia lo stesso Ulpiano a dirci, senza giri di parole, che gli schiavi (mancipia) acquistati con il ricavato della merx e destinati all’esercizio dell’impresa peculiare (in negotiatione habuit ex merce parata), erano oggetto di ripartizione fra i creditori peculiari (etiam haec tribuentur).

71Sembra dunque esserci una certa antinomia fra il principio affermato in D.14.4.1.1 (in base al quale ai venaliciarii non si applicava l’editto) e quello espresso in D.14.4.5.14 (secondo cui i servi destinati all’esercizio della negotiatio potevano comunque essere oggetto di tributio).

72Il frammento, si potrebbe obiettare, si colloca nel Digesto dopo il noto testo in cui Ulpiano, affrontando il tema dei beni oggetto di ripartizione fra i creditori, sposa l’opinione di Labeone secondo cui anche l’instrumentum predisposto dal sottoposto per l’esercizio dell’impresa doveva rientrare nella tributio31.

73I servi dunque, pur non essendo mai configurabili come merx, avrebbero ben potuto essere oggetto di ripartizione come instrumentum: nessuna antinomia vi sarebbe stata, quindi, fra i due passi.

74In realtà tale ragionamento, se consente di escludere un’apparente contraddizione, finisce anche per produrre una singolare conseguenza: l’assoggettabilità degli schiavi (parte del peculio e impiegati dal sottoposto nell’esercizio di una negotiatio) alla tributio non sarebbe dipesa dalla loro possibile qualificazione come merce, ma solo dall’uso concreto che il sottoposto ne avesse fatto nell’ambito della negotiatio esercitata.

75Quando gli schiavi fossero stati l’oggetto “immediato” del commercium, i creditori del servus venaliciarius non avrebbero potuto agire con tributoria (ostandovi il ristretto significato di merx).

76Dove invece il sottoposto, con i ricavi della merx, avesse acquistato dei servi da impiegare per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale32, questi sarebbero confluiti nella tributio, insieme alla merx e agli altri instrumenta.

77Un ulteriore suggerimento del fatto che la giurisprudenza, all’epoca di Ulpiano, fosse ormai orientata nel senso di un’applicazione molto ampia dell’editto è ravvisabile, infine, anche nell’attenzione prestata dai giuristi ai problemi relativi alla “sovrapposizione” fra la disciplina dell’actio tributoria e l’actio institoria33. Detta azione, come noto, si fondava giuridicamente sulla praepositioinstitoria del sottoposto all’attività commerciale, e comportava una responsabilità illimitata del dominus per i debiti servili.

78Il tema è, ancora una volta, affrontato da Ulpiano:

79D.14.3.11.7 (Ulp. 28 ad ed.): Si institoria recte actum est, tributoria ipso iure locum non habet: neque enim potest habere locum tributoria in merce dominica. quod si non fuit institor dominicae mercis, tributoria superest actio.

80Ecco allora che, per il giurista, la linea di confine fra l’ambito di applicazione della tributoria e quello dell’istitoria doveva tracciarsi sulla scorta della distinzione fra merce peculiare e merce dominica. L’institoria, infatti, presupponeva la praepositio del servus alla gestione di un’attività svolta con beni appartenenti alla res domini34. La tributoria, invece, interessava l’esercizio da parte del sottoposto di una negotiatio organizzata, sciente domino, mediante risorse peculiari.

81Eccezion fatta per l’afferenza dell’impresa a diversi cespiti patrimoniali riconducibili al dominus, dal passo sembra dunque emergere una certa equivalenza dell’ambito economico di applicazione dei due rimedi.

82In altre parole, la scelta dell’azione non dipendeva tanto dal tipo di attività esercitata (che ben poteva essere la stessa), quanto piuttosto dalle risorse (peculiari o dominiche) attraverso cui la stessa era stata organizzata.

83Ciò consente di formulare due considerazioni.

84La prima è che le due azioni, pur presupponendo una diversa struttura organizzativa (alla cui base stava una differente allocazione delle risorse familiari da parte del dominus), nascono verosimilmente riferite allo stesso tipo di attività, originariamente consistente nell’emptio venditio in taberna. Questo, in effetti, corrobora quanto s’è detto sopra a proposito dell’originario significato del termine merx nella lettera edittale35.

85La seconda, conseguente alla prima, è che l’estensione dell’ambito economico di applicazione dell’institoria a vari ed ulteriori tipi di negotiationes36, variamente testimoniata dalle fonti, deve aver probabilmente interessato anche la tributoria. Non è un caso infatti che lo stesso Ulpiano citi, in tema di institoria, attività considerate dal giurista anche ai fini della tributoria: si tratta, ad esempio, della negotiatio lintearia (citata in D.14.4.5.15 per la tributoria e in D.14.3.5.4 per l’institoria37), ma anche (e questo è ai nostri fini particolarmente interessante) delle attività svolte dai fullones e dai sarcinatores38.

86Detteattività, come si ricorderà, rientrerebbero fra quelle escluse dall’ambito della tributoria laddove si volesse estrapolare dalla prima parte di D.14.4.1.1 il pensiero di Ulpiano39. Ma tale ultima ricostruzione, alla luce di D.14.3.11.7, sembra improbabile: le azioni tributoria e institoria, verosimilmente, condividevano l’originario ambito economico di applicazione; le fonti testimoniano che l’institoria venne progressivamente estesa a numerose attività originariamente escluse da tale ambito; dati gli indizi in nostro possesso, si può allora supporre che la medesima evoluzione sia avvenuta anche con riferimento alla tributoria.

87Insomma, sebbene il quadro delle fonti in nostro possesso non consenta di formulare conclusioni assolute, l’idea che Ulpiano si ponesse sulla stessa linea di Pedio, a favore di un’estensione dell’editto ad omnes negotiationes, appare verosimile.

88La prima parte di D.14.4.1.1 (in cui il giurista fa riferimento ai problemi interpretativi legati al termine merx) non esprimerebbe quindi un principio di diritto vigente, ma semplicemente darebbe conto del processo ermeneutico che, negli anni, aveva a lungo impegnato la giurisprudenza.

89In questa prospettiva, il già citato D.14.4.5.13 (Ulp. 29 ad ed.) ci consente forse di avanzare un’ipotesi a proposito delle modalità attraverso cui tale estensione si realizzò. La giurisprudenza, su invito di Labeone, espanse via via l’oggetto materiale della tributio, fino a ricomprendervi, oltre alla merx in senso stretto, anche i beni strumentali all’esercizio della negotiatio acquistati con il suo ricavato. Così facendo, i giuristi finirono per attribuire un diverso (e più specifico) significato alla stessa lettera edittale: non più merx in senso comune, ma merx peculiaris40. Per questa via, l’ambito economico di applicazione della tributoria risultò progressivamente esteso di riflesso, finendo per ricomprendere ogni tipo di negotiatio organizzata dal sottoposto con mezzi del peculio.

90Una tale evoluzione, in fin dei conti, non deve sorprendere troppo: essa testimonia, una volta di più, il ruolo ad un tempo tecnico e straordinariamente creativo assunto dai prudentes nell’ordinamento giuridico romano.

91Attraverso la fondamentale opera di interpretatio dei verba edicti, infatti, la giurisprudenza fu a più riprese capace di modulare il rigore proprio di ogni norma di diritto, adeguandolo alle esigenze, sempre nuove e mutevoli, del mondo dei traffici commerciali.

Articles Nov. 23, 2016
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First publication
Nov. 23, 2016

  • citation suggestion Andrea Mazzoleni, D.14.4.1.1 e il concetto di merx peculiaris nella disciplina edittale dell’actio tributoria. (Nov. 23, 2016), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net2016-11-mazzoleni