1Con un’attenta ed accurata lettura di un passo di Giuliano in tema di responsabilità aquiliana, Ernst offre un quadro raffinato ed esauriente dell’elemento della imputabilità exlege Aquliade damno nella storia plurisecolare della sua evoluzione.
2Oggetto della ricerca è l’analisi dell’antinomia tra il pensiero di Giuliano (D. 9.2.51) ed il pensiero di Celso (D. 9.2.11.3 e D. 9.2.15.1) in materia di responsabilità ex lege Aquilia di due offensori, nel caso in cui il primo infligga una ferita mortale ad un soggetto che muore però in seguito al colpo inferto dal secondo aggressore. Secondo Celso, la cui soluzione è riportata da Ulpiano, il primo aggressore sarebbe responsabile solo di aver ferito la vittima, mentre al secondo sarebbe imputabile la morte. Giuliano, invece, ritiene entrambi gli offensori responsabili della morte della vittima. Dal medioevo sino ai nostri giorni la dottrina si è interrogata sulle criticità che tali contrapposte soluzioni presentano ed i risultati vengono qui presentati da Ernst in una chiara e concisa esposizione della storia della tradizione romanistica.
3Accursio nella Glossa Ordinaria, cercando una soluzione armonica, trova una giustificazione alla coesistenza delle contrastanti opinioni di Giuliano e Celso, senza però riuscire a superare l’antinomia (così Stintzing, p. 12 nt. 13). Le glosse a ‘teneri’ in D. 9.2.51 e a ‘mortifere’ in D. 9.2.15 chiariscono come entrambi gli aggressori possano essere ritenuti responsabili. Tuttavia, se la prima ferita non fosse necessariamente mortale, il primo aggressore risponde per il terzo capo della lex Aquilia, mentre solo il secondo per il primo, cioè per uccisione. Secondo Ernst la credibilità data da Accursio alla soluzione di Giuliano permette di arrivare alla conclusione che non si possa trovare una soluzione univoca al caso dei due offensori, ma che si debba distinguere caso per caso in base al tipo di ferita inferta e alle differenze riscontrabili tra il primo ed il secondo colpo alla vittima.
4L’interpretazione accursiana diventa la communis opinio. L’opinione di Giuliano viene ripresa dai canonisti al tempo di Papa Innocenzo III per affermare il principio rei publicae interest ne maleficia impunita nel decretalis Inaudtum del 1199. Ernst nota come l’idea del giurista romano da un contesto strettamente di diritto privato in materia di responsabilità sia stata adattata al diritto pubblico per affermare il concetto di obbligatorietà dell’azione giudiziaria da parte dello Stato; mentre nella dottrina del tardo Medioevo occupa una posizione di rilievo Baldo degli Ubaldi secondo cui Giuliano avrebbe risolto la questione con una fictio giuridica, poiché proponeva che una persona potesse essere uccisa due volte, cosa di fatto impossibile. La rilevanza della gravità della ferita è ripresa dal diritto criminale medievale e della prima era moderna ed il dibattito si concentra sulla mortalità della ferita che viene assunto come criterio distintivo tra i reati di omicidio e quelli di aggressione.
5Nel Rinascimento l’attenzione dei giuristi si sposta e si focalizza non più sulla lettura dei testi dei giuristi romani ma sulla percezione storica del mondo antico. Le opinioni di Giuliano e Celso sono ritenute espressioni non riconciliabili e forzati i tentativi di armonizzarle. La maggior parte dei giuristi di questa epoca reagisce con forza all’armonizzazione ricercata dalla Glossa Ordinaria di Accursio. Una voce fuori dal coro, sottolinea Ernst, è quella di Cuiacio secondo il quale la questione va trattata come una controversia classica in cui Celso, la cui opinione è riferita e seguita da Ulpiano, e Giuliano sono avversari.
6In età moderna i giuristi seguono una delle due interpretazioni di riferimenti, quella di Accursio che poggia sulla determinatezza della mortalità della prima ferita e quella di Cuiacio che riporta la questione ad una classica controversia fra giuristi romani. Ernst presenta in poche ed efficaci pennellate le opinioni dei principali seguaci di entrambe le interpretazioni, dando meritatamente conto anche di laconico commento di Grozio: ‘Id quod minus absurdum est, valet pro ratione’ al passaggio ‘Quod si …. lege Aquilia teneri’. Nel XIX secolo, l’idea della culpa è posta dai pandettisti al centro dell’analisi dei problemi della responsabilità, con l’intento di individuare un requisito comune di culpa, inteso come caratteristica di responsabilità individuale, a fondamento di tutti i tipi di responsabilità.
7Ampio spazio è dedicato da Ernst alla dottrina moderna e contemporanea, di cui offre un quadro chiaro e completo delle interpretazioni trovate per capire e superare le contraddizioni tra D. 9.2.11.3 (D. 9.2.15.1) e D. 9.2.51 a favore della certezza del diritto. Se nell’ultimo quarto del XIX secolo la moderna dottrina del diritto romano pone comunque ancora l’attenzione al commento dei passi del Digesto, il XX secolo vede il nascere di ricerche di più ampio respiro che non rimangono circoscritte alla lettura del testo, ma indagano altri aspetti ad esso connessi, quali l’attendibilità della fonte giurisprudenziale, il concetto di causalità antico e moderno, la stima del danno e l’approccio metodologico di Celso e Giuliano, sulle quali Ernst offre una precisa ed ampia panoramica.
8D. 9.2.51 è stato oggetto di una continua perplessità e certamente la soluzione di Giuliano è la meno apprezzata fra tutte le sue conosciute, ma, malgrado questo scetticismo, Ernst mette in luce come dal passo di Giuliano sono stati elaborati topoi interpretativi che rappresentano delle massime della scienza giuridica occidentale, quali ne crimina remaneant impunita e multa in iure civili/communi contra rationi disputandi pro communi utilitate introducta sunt. Nella sua dettagliata analisi testuale del passo, Ernst sottolinea, inoltre, che nessuna interpretazione ha messo in luce l’uso per cui il testo di Giuliano avrebbe dovuto essere predestinato: l’essere preso a modello dell’arte dell’interpretazione. D. 9.2.51 è ‘a fine and blameless example of the exquisitely balanced legal reasoning that was Julian’s trademark’ (p. 147). Non si può che condividere quanto espresso da Ernst: il giurista classico affronta la questione giuridica se entrambi gli aggressori abbiano commesso l’atto di occidere e nel dare risposta presenta tali sfumature interpretative che rendono la sua decisione il capolavoro di un virtuoso (nel testo) del diritto.