journal Reviews

Reviewed by: Dante Fedele*

Paolo Mari, Il libro di Bartolo. Aspetti della vita quotidiana nelle opere “bartoliane” Uomini e mondi medievali 69 , Fondazione Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 2021, XX-794 p., ISBN 978-88-6809-327-3

1Paolo Mari è studioso noto soprattutto per la partecipazione al progetto di edizione delle glosse preaccursiane, per i suoi studi sulla letteratura consiliare e per alcuni fondamentali contributi sul metodo filologico1. Questo suo nuovo lavoro presenta i risultati di una ricerca ultradecennale condotta sull’opera di Bartolo da Sassoferrato, giurista che Mari non ritiene “incongruo” accostare a Dante, avendo egli segnato indelebilmente “la costruzione stessa del sistema giuridico e politico del Medioevo e dell’Età moderna” così come il più illustre contemporaneo segnò “la storia della poesia e della lingua italiana” (p. 1).

2Il titolo del volume prende spunto da un passo in cui Bartolo allude a un “libro” (purtroppo ignoto) nel quale egli avrebbe “conservato la [sua] memoria, ponendovi addizioni di [...] propria mano”, e che l’avrebbe accompagnato durante l’ascolto delle lezioni universitarie; un libro che perciò gli sarebbe stato “caro più di ogni altro in virtù di una [...] specifica e singolare affezione” e che non avrebbe potuto appartenere a nessun altro che a lui (ad Cod. 7.47.1, citato a p. XII e, in versione latina, a p. 587). Il riferimento alla “vita quotidiana” compendia i vari campi indagati nel volume, il quale – dopo un primo capitolo dedicato a “Questioni biografiche e stilistiche” (p. 1-59) – affronta temi diversi quali “Politica e istituzioni” (p. 61-176), “Giudici, processi e pratica forense” (p. 177-278), “I tributi” (p. 279-314), “Rapporti sociali e famigliari” (p. 315-391), “Vicende cittadine” (p. 393-487, in cui si discutono questioni alimentari, animali e ambiente, lavori, mestieri e mercanti, banditi, rappresaglie e leggende cittadine), “Proverbi, modi di dire e lingua volgare” (489-523, un campo, spesso trascurato dagli storici del diritto, che riflette gli interessi filologici dell’Autore), “La condizione femminile” (p. 525-586), “Dottori e scolari” (p. 587-625) e “Notai, testimoni e documenti” (p. 627-710). Una nutrita appendice raccoglie numerosi esempi di “autocitazioni” di Bartolo, che trasmettono interessanti spunti autobiografici ed indizi relativi alla cronologia e, talvolta, alla paternità delle opere a lui attribuite (donde l’uso delle virgolette per il termine “bartoliane” nel titolo, p. 711-765). Tre indici dedicati rispettivamente ai nomi di persona e di luogo, alle parole notevoli e alle parole in volgare chiudono il volume.

3Anticipata da vari saggi apparsi negli ultimi anni, a cominciare dalla relazione presentata al Convegno internazionale tenutosi a Todi e Perugia nel 2013 in occasione del settimo centenario della nascita di Bartolo2, quest’ampia ricerca s’impone all’attenzione degli storici per l’approfondito lavoro di scavo compiuto sulle fonti. Pur ammettendo di non aver offerto “una recensio completa” delle testimonianze (p. XI e 6) – ma c’è da chiedersi se essa sia umanamente fattibile per un corpus di tali dimensioni –, Paolo Mari ha condotto uno studio integrale delle opere “bartoliane” basato (anche se limitatamente alle letture sulle diverse parti del Corpus iuris civilis) su un largo ventaglio di testimoni: 31 manoscritti, 12 incunaboli, l’edizione lionese del 1555 della lettura sull’Authenticum, nonché l’edizione curata dal Diplovatazio del 1526-1529 (more veneto, ossia 1527-1530, come osservato da Mario Ascheri) e l’edizione veneziana del 1570 delle opere complete di Bartolo3. Per i consilia, i tractatus e le quaestiones il confronto è stato limitato, nella maggior parte dei casi, alle cinquecentine e (limitatamente alle quaestiones) all’incunabolo veneziano del 1471, ricorrendo ai manoscritti solo per il Tractatus de alimentis e il Tractatus de falcone. Mari si è inoltre avvalso delle edizioni critiche dei cosiddetti trattati politici (curata da Diego Quaglioni) e del Tractatus testimoniorum (realizzata da Susanne Lepsius), mentre altre edizioni pur recenti non sembrano essere state considerate: è il caso del trattato De insigniis et armis citato in più occasioni, di cui esiste un’edizione curata da Julius Kirshner, Osvaldo Cavallar e Susanne Degenring, del De alluvione, edito da Cavallar sulla base dell’autografo bartoliano incluso nel ms Barb. Lat. 1398 della Biblioteca Apostolica Vaticana, e del consilium I.62, citato a p. 72 ed edito da Kirshner.

4Benché Mari parli di “qualche modesto risultato in termini di critica testuale” derivato – “come sottoprodotto” – dal suo lavoro sui vari aspetti della “vita quotidiana” nelle opere attribuite a Bartolo (p. 6), i frutti di questo scavo sono numerosi e significativi. Anzitutto riguardo alle date di nascita e morte del giurista, per le quali – da un lato – si formula un’ipotesi che restringe l’arco compreso tra il 10 novembre 1313 e il 10 novembre 1314 anticipando il terminus ante quem al 9 luglio 1314, e – dall’altro – si propone una rivalutazione (almeno parziale) dell’indicazione contenuta nel ms 580 della Biblioteca Angelica di Roma secondo cui Bartolo sarebbe stato sepolto il 13 luglio 1358 (a fronte di altri testimoni che datano la sua morte al 10 luglio 1357).

5Numerose indicazioni emergono poi in relazione all’attribuzione delle opere “bartoliane”. Pur mantenendo dei dubbi riguardo alla lettura sull’Authenticum, Mari non rigetta del tutto l’ipotesi che possa trattarsi di opera giovanile di Bartolo da assegnare al periodo perugino, e “forse [...] svincolata dall’attività di insegnamento” (p. 41). Sulla vexata quaestio relativa alla paternità della lettura sulla prima parte del Digestum Vetus, Mari (che a questo lavoro ha prestato particolare attenzione) ritiene che essa sia “interamente bartoliana, reportata almeno dal titolo de iustitia et de iure”, e senza escludere l’originalità del contenuto della Rubrica e della lettura della costituzione Omnem (p. 50, dove si citano fonti secondo cui Bartolo lesse il Vetus già nel 1344 e la prima parte in particolare nel 1352). Quanto alla lettura sui Tres libri (assegnata ad un periodo tardo nella vita del giurista, p. 26), Mari attribuisce a Bartolo l’intero libro XI (anziché soltanto fino a Cod. 11.34 o Cod. 11.35.1), aderendo invece all’opinione tradizionale che nega la paternità bartoliana della lettura sul libro XII (p. 23-25 e 43-44). Un discorso a parte meritano i due proemi di questa lettura presenti nella tradizione, che Mari giudica entrambi spuri (p. 21), e la repetitio De dignitatibus (Cod. 12.1.1) che – nella forma in cui si presenta nelle cinquecentine – è attribuibile ad Alessandro Tartagni: essa riporta infatti “un testo spurio all’inizio (almeno fino al punto 33 delle correnti edizioni a stampa), interpolato (punto 48 in corp.: ‘et qui sint isti-Alex.’), ed anche spurio alla fine (nell’ambito del punto 102 dopo le parole ‘hoc de nobilitate sufficit’)” (p. 18). Tuttavia, Mari osserva che il testo della repetitio trasmesso dai manoscritti e dagli incunaboli – più breve e privo delle contraddizioni che caratterizzano le edizioni più tarde – può ritenersi più vicino all’originario testo bartoliano. Infine, si registrano numerose corrispondenze, anche letterali, tra la lettura di Bartolo sui Tres libri e quella di Angelo degli Ubaldi (per cui si vedano i riferimenti a quest’ultimo nell’indice dei nomi).

6L’analisi delle contingenti indicazioni temporali, dei riferimenti diretti di Bartolo alla propria lezione o delle sue apostrofi all’uditorio (spesso soppressi nelle edizioni cinquecentine, come mostrano gli esempi a p. 213, 227, 338, 422, 454, 677 e 718) offre a Mari un valido argomento per sostenere la natura di recollectae delle letture bartoliane, in opposizione all’ipotesi prospettata da Annalisa Belloni secondo cui Bartolo sarebbe tra i primi giuristi ad aver sistemato le proprie additiones, nate dalle lezioni, in veri e propri commentari4: “i cosiddetti commenti bartoliani sono tutte letture universitarie ed anche quando appaiono svincolate dall’insegnamento (come sembra il caso dei Tres libri) assumono, comunque, la forma della lettura” (p. 10, ma v. anche p. 592 e Appendice). Parimenti, l’analisi delle autocitazioni bartoliane induce Mari a relativizzare la portata dello schema, proposto da Belloni, che prevede un ordine di rotazione degli insegnamenti sulle varie parti del Codex e dei Digesta nelle università italiane in un ciclo di quattro anni5: a suo giudizio tale regola, pur verificabile in talune occasioni, non avrebbe avuto applicazione rigida e coerente.

7Com’era prevedibile, il ricorso a un esteso campione di testimoni consente a Mari di apportare molte correzioni alle lezioni delle cinquecentine e di riportare innumerevoli errori e varianti utili per comprendere lo stato della tradizione. A quest’ultimo riguardo, basti riferirci qui all’esempio del manoscritto 580 della Biblioteca Angelica di Roma, che in più occasioni offre una lezione corrispondente all’antiqua lectura sulla prima e la seconda parte del Codex trasmessa nelle cinquecentine. Quanto ad errori e varianti, giova ricordare che la grandissima parte delle note a piè di pagina è dedicata proprio a questioni critico-testuali relative ai passi latini citati a testo, che a loro volta trovano largo spazio nell’economia del volume.

8Scelta deliberata, sul piano metodologico, pare essere stata quella di portare uno sguardo per così dire ingenuo ai testi, depurato tanto dai dibattiti storiografici (la bibliografia secondaria, citata con estrema parsimonia, include principalmente vocabolari ed opere sulla storia perugina) quanto da qualsiasi tentativo di ingabbiare i passi selezionati entro griglie interpretative precostituite. Il volume si presenta quasi sotto la veste di un catalogo ragionato di citazioni, opportunamente parafrasate e commentate soprattutto sul piano lessicale e storico-contestuale, nell’intento di mettere lettori e lettrici a contatto diretto con i testi. Una conclusione avrebbe forse potuto essere il luogo ideale per tentare una sintesi, tra l’altro, sui metodi usati da Bartolo nell’affrontare i libri legales, sulla “ragionevolezza” e l’“equilibrio” spesso sottolineati delle sue interpretazioni, oppure sullo stato della tradizione e sulla cronologia delle sue opere (non sempre ricostruibile agevolmente a partire dai testi citati in Appendice). In mancanza di questa, è comunque possibile – anche grazie agli indici – orientarsi con sicurezza nella consultazione del volume. Senza dubbio esso si rivelerà un indispensabile strumento di lavoro per chiunque voglia conoscere l’opinione di Bartolo su numerosissimi aspetti della vita sociale del suo tempo, nonché sulla sua esperienza di studio e insegnamento e sul suo esercizio della consulenza. Possiamo ricordare, per concludere, le preziose notizie che emergono dal volume sulla personalità di Bartolo (v. le cogitazioni notturne a p. 593 e 594) e sulle conoscenze storiche di un intellettuale della sua statura (v. a p. 597: isti condentes iura digestorum erant pagani, cum leges fuerunt facte per CCC annos antequam Xristus veniret vel plus). E non manca qualche appunto sulla storia dell’università presso la quale egli insegnò dal 1343, che rivela ad esempio come Bartolo sia l’unica fonte a testimoniare la sospensione delle attività dello Studio perugino a causa della peste del 1348 (p. 592). Una notizia, questa, che può forse stupire nel momento in cui una pandemia ci sconvolge e travolge (anche) con produzione torrenziale di informazioni.

Review by Feb. 28, 2022
© 2022 fhi
ISSN: 1860-5605
First publication
Feb. 28, 2022

DOI: https://doi.org/10.26032/fhi-2022-017

  • citation suggestion Reviewed by: Dante Fedele, Paolo Mari, Il libro di Bartolo. Aspetti della vita quotidiana nelle opere “bartoliane” (Feb. 28, 2022), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net/2022-02-fedele/