1Francesco di Chiara pubblica l’edizione critica del manoscritto conservato presso la Biblioteca Comunale di Palermo ed intitolato Praxis Inquisitionum in causis catholice fidei spectantibus Tribunali Sancti Officii, avente ad oggetto la prassi giudiziaria dell’Inquisizione spagnola. Di Chiara con un’approfondita e precisa analisi esamina il processo inquisitorio in una cornice dottrinale e pratica nel corso del XVIII secolo tra Sicilia e Spagna, in un momento in cui l’Inquisizione era ormai arrivata al suo declino e prendevano sempre più spazio le teorie illuministiche.
2Il volume offre interessanti spunti di riflessione per l’inquadramento storico-giuridico dei manuali, redatti per agevolare e rendere spedita la risoluzione dei diversi casi da parte degli inquisitori, al fine di avere una serie di regole uniformi; ma anche per riflettere sui più recenti indirizzi metodologici della storia del diritto, al cui centro vi sono le narrazioni intrecciate, i cosiddetti entanglements1. In questo caso si tratta di un intreccio multiplo tanto geografico (nei territori spagnoli e siciliani) quanto temporale, per le diverse tipologie di manualistica per inquisitori che erano stati prodotte a partire dalla prima fase, con il Directorium Inquisitorum di Nicolau Eymerich.
3Nel corso dell’età moderna il fenomeno della produzione di pratiche per inquisitori era presente tanto nell’Inquisizione spagnola, quanto in quella romana e portoghese; basti solo ricordare tra il XVI e il XVII secolo i manuali di Farinacci, Carena o Simancas, che hanno la comune caratteristica di avere come tema principale la pratica inquisitoriale, pur conservando „l’approccio tipico dei generi letterari della dottrina giuridica d’età moderna” (p. 12). Il contesto dell’Inquisizione siciliana nel corso del Settecento viene affrontato illustrando le sue peculiarità, gli intrecci sociali e gli interessi aristocratici presenti sull’isola e soprattutto soffermandosi sul canonico palermitano Antonino Mongitore, qualificatore e consultore del Sant’Uffizio.
4La Praxis Inquisitionum rientra tra i manoscritti posseduti da Mongitore e donati nel 1766 alla biblioteca del Senato palermitano dal nipote Francesco Serio. Mongitore rivestiva all’epoca un ruolo di spicco all’interno dell’inquisizione siciliana, al punto che fu il redattore dell’Atto pubblico di fede, il cosiddetto autodafé, datato 6 aprile 1724, descritto da Di Chiara come un „colpo di coda di un’istituzione destinata all’inesorabile declino sia dal punto di vista dell’operosità […] sia da quello della percezione nella cultura giuridica dell’Inquisizione come un’istituzione anacronistica e oscura” (p. 18). Mongitore si fece anche portavoce di una serie di iniziative che avevano l’obiettivo di pubblicare determinate opere di argomento inquisitoriale; egli infatti curò l’iter di stampa del trattato scritto da Onofrio Giunta ed intitolato Fragmenta iuris, et praxis ad sacrum fidei tribunal spectantia.
5Il manoscritto si presenta come un vero e proprio “mosaico” di riferimenti alla prassi inquisitoriale spagnola, tradotti in italiano, ad uso esclusivamente pratico e dall’impronta frammentaria. Di Chiara infatti osserva che apparentemente non vi è un ordine e una struttura definita e precisa ma si trovano presenti e mescolati aspetti di diritto sostanziale con quelli procedurali. L’intento dell’autore è fortemente selettivo: sceglie e traduce le parti che risultavano non solo più interessanti ma anche di pronta e chiara applicazione. Le diverse fonti citate ricoprono un arco temporale che va dal 1546 alla seconda metà del Settecento.
6Composta da ventiquattro titoli, a loro volta divisi in paragrafi la Praxis Inquisitionum prende in considerazione diverse tipologie di condotte punite dal Tribunale dell’Inquisizione: vi sono gli illuminati, le streghe, gli indovini, i pertinaci e impenitenti, ma si concentra anche sugli effetti delle sentenze qualora l’eretico sia deceduto. Il processo sarebbe continuato alla presenza degli eredi e nel caso di condanna si sarebbe proceduto con la confisca del patrimonio appartenente al de cuius. Nell’ipotesi di autoaccusa del reo, come avveniva per coloro che ritrattavano la propria confessione, l’autore li classificava come gli impenitenti, il cui destino veniva affidato al braccio secolare. Di Chiara mette in luce che dinnanzi ad un „principio fortemente repressivo […] fa seguito la descrizione di una disciplina che ne costituisce il temperamento” (p. 46). Veniva infatti stabilito che colui che ritrattava la propria confessione era necessario, prima di consegnarlo al braccio secolare, di esaminare le diverse circostanze in cui è stata fatta sia la confessione che la ritrattazione.
7L’autore della Praxis Inquisitionum si sofferma anche su coloro che fecero specifiche azioni contro il Sant’Uffizio, come fingersi membri, inquisitori o segretari ma anche contro la Chiesa stessa, ad esempio coloro che pur non essendo sacerdoti, celebravano la messa o confessavano i fedeli. Un breve paragrafo è dedicato agli infedeli, "Giudei o Mori" non battezzati, distinguendo tra coloro che si fossero recati in Spagna solo a fini lavorativi e coloro invece che fossero nati e cresciuti in Spagna. Nel primo caso, al verificarsi di bestemmie o atti irrispettosi contro la Chiesa e la fede cattolica, non avendo ricevuto il battesimo non potevano essere equiparati agli eretici ma potevano essere puniti con le pene del giudice secolare. Nel secondo caso, invece, venivano processati esattamente come coloro che avevano ricevuto il battesimo, qualora avessero commesso atti ereticali.
8L’edizione del manoscritto, in cui Di Chiara è intervenuto fornendo un quadro sistematico storico-giuridico della complessità del tribunale inquisitoriale siciliano, prestando attenzione alla procedura, permette di cogliere i diversi intrecci del Settecento siciliano, diviso tra un’istituzione che si stava progressivamente superando e l’avvento delle teorie marcatamente illuministiche. La Praxis Inquisitionum rappresenta quella parte della Sicilia settecentesca che, ancora al fenomeno inquisitoriale ne vedeva “eternamente” la sua progettualità e operatività, avvicinando a sé esperienze inquisitoriali e processuali a posizioni dottrinali.