1Virginia Amorosi restituisce voce a quelle storie dimenticate, segnate da profondi sacrifici e sforzi che hanno contraddistinto l’esistenza dei lavoratori italiani emigrati, destinati a svolgere le mansioni più umili e faticose e rimanendo anche vittime di episodi di violenza e di razzismo. Il volume si apre infatti con un fatto di cronaca: il massacro di Aigues-Mortes. Nel 1893 presso le saline francesi di Aigues-Mortes ci fu un cruento scontro tra gli emigranti italiani e i francesi, che ebbe una significativa risonanza internazionale, non solo per quanto riguarda l’opinione pubblica ma anche nel campo giudiziario, diplomatico e per la formazione progressiva della disciplina del diritto internazionale del lavoro.
2La complessità e tragicità di questa vicenda è raccontata attraverso, “una” storia, come ben precisa Amorosi, una “tra le tante”, che diventa però nel corso del volume “la” storia: Caterina Camerlo Calori, giovanissima vedova del marito Bartolomeo, tragicamente ucciso nelle saline di Aigues-Mortes, si batté nel corso della sua esistenza per ottenere il giusto risarcimento per la perdita del marito. Quest’esistenza nascosta, dimenticata, ignorata dai grandi eventi della storia, racchiude in sé le richieste di moltissimi italiani emigrati dell’epoca, che trovano spazio nel discorso giuridico: emerge il problema dell’immigrazione e della sua disciplina; dell’emigrazione; della gestione del lavoro e della relativa necessità di una normativa che disciplinasse i contratti di lavoro, nel difficile equilibrio degli aspetti legati alla produttività, all’industrializzazione ma anche alla tutela dei lavoratori.
3La svolta nella ricerca di una soluzione comune è lo spostamento delle questioni dall’ottica “nazionale” a quella “internazionale”. Il diritto internazionale del lavoro, infatti, gioca un ruolo essenziale: dopo il massacro di Aigues-Mortes venne siglato un accordo internazionale tra Francia e Italia nel 1904, con l’obiettivo di prendere provvedimenti per la protezione degli operai italiani e francesi emigrati. Per Amorosi il trattato costituisce la base giuridica, grazie alla quale venivano individuati “dei soggetti precisi, caratterizzati proprio dalla speciale connessione con un dato spazio in un dato tempo, e destinatari di una protezione giuridica stabilita comunemente tra due paesi […]”; pertanto l’accordo internazionale “permetteva di distinguere l’emigrante dal viaggiatore” e lo rendeva “destinatario di regole giuridiche internazionalmente stabilite in funzione della sua qualità di lavoratore” (p. 63-64).
4Il discorso internazionalistico racchiuso nella convenzione trovava le sue radici in quel processo di scientifizzazione del diritto internazionale che lo aveva caratterizzato durante il corso dell’Ottocento, culminando con la fondazione a Ghent dell’Institut de Droit International nel 1873. I giuristi, esperti del diritto internazionale, presero parte ai vivi dibattiti riguardanti le questioni operaia e sociale, individuando il compito che avrebbe avuto il diritto nella loro risoluzione. Pasquale Fiore s’inserisce in questo contesto, fornendo la sua riflessione, in cui cerca di bilanciare gli interessi economici-finanziari ad una visione programmatica che avrebbe garantito l’internazionalizzazione dei diritti dell’uomo.
5Un successivo passo in avanti nel diritto internazionale del lavoro si ebbe con le convenzioni multilaterali di Berna del 1906, stipulate dopo una serie di conferenze tecniche organizzate dalla Svizzera a partire dal 1905. In particolare, venne siglato un accordo sulla disciplina del lavoro notturno e sull’eliminazione del fosforo bianco nella fabbricazione dei fiammiferi. Esse, seppur con alcuni limiti, “rappresentavano un traguardo fondamentale nel percorso di elaborazione del discorso giuridico internazionale sul lavoro che […] continuò negli anni immediatamente successivi anche sul terreno di una cospicua produzione dottrinaria” (p. 131).
6Infatti la produzione dottrinaria e l’elaborazione teorica rivestirono un ruolo chiave in questa fase: nel 1912 Scipione Gemma pubblicava Il diritto internazionale del lavoro in cui si concentrava sull’analisi giuridica dell’emigrazione e su come la scienza giuridica avrebbe saputo affrontare le problematiche relative alla relazione tra capitale e lavoro. Agli sforzi teorici si aggiunse la creazione di associazioni ad hoc, come l’Association internationale pour la protectionlégaledestravailleurs, costituitasi a Basilea nel 1901, definita “l’espressione più concreta e operativa dell’impegno della scienza dell’analisi dei problemi sociali” (p. 187).
7Amorosi, con uno stile di scrittura avvincente e preciso, completato da uno scavo attento nelle fonti di archivio, fornisce un quadro tagliente e puntuale delle diverse dinamiche giuridiche, politiche e sociali che caratterizzavano il diritto internazionale del lavoro nei primi anni del Novecento. Il volume fotografa efficacemente la situazione europea fermandosi alla vigilia del primo conflitto mondiale, quando ancora gli Stati e i giuristi stavano lavorando ad una visione unitaria del diritto del lavoro internazionale, che si ebbe, in veste ufficiale, con la conclusione della pace di Versailles nel 1919, e con la fondazione, ad opera della Società delle Nazioni, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.