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Paolo Ferretti*

Possessio, animus e corpus

1. Possessio, animus e corpus.

1Corpus e animus sono i “termini fondamentali della controversa natura del possesso”1, termini sui quali la dottrina ha avanzato molteplici interpretazioni2, a tal punto da far scrivere a Pietro Bonfante che “la nozione del possesso è la più controversa nozione del diritto”3.

2Nonostante questo, l’intera storiografia in materia può forse essere distinta in due opposti indirizzi. Da una parte, l’indirizzo che, benché con diversi accenti e precisazioni, sostiene ― sono ancora parole di Bonfante ― la “teoria ortodossa del possesso”4, imperniata sulla “ricostruzione ordinante savigniana del possesso come situazione di fatto modellata dall’elemento materiale del corpus e dall’elemento spirituale dell’animus5.

3Dall’altra parte, un indirizzo storiografico6, più recente e del tutto minoritario, il quale ha portato avanti una teoria che potremmo chiamare, in opposizione alla prima, ‘eterodossa’. Questo indirizzo nega, con varie e differenti letture, che corpus e animus siano elementi costitutivi del possesso, almeno fino ad un determinato momento, da alcuni individuato nella tarda età classica, da altri nell’età postclassica.

4Al dibattito appena accennato è opportuno dedicare una brevissima ricostruzione, per linee generali e senza alcuna pretesa di esaustività, prima di introdurre alcune riflessioni sul ruolo di animus e corpus nella formazione del concetto di possessio.

2. Le due principali teorie su possessio, animus e corpus.

5Punto fermo da cui partire, per illustrare la teoria ‘ortodossa’ del possesso è, cosa del resto a tutti nota, il famosissimo Das Recht des Besitzes di Friedrich Carl von Savigny7, «libro che ha aperto una nuova epoca»8 grazie all’impostazione ‘binaria’ che ricostruisce il possesso come la somma di due elementi: l’uno materiale, il corpus9, l’altro spirituale, l’animus domini. Dunque, la disponibilità materiale del bene, associata all’intenzione di comportarsi come il proprietario del medesimo bene, avrebbero connotato la fattispecie possessoria.

6Punto debole della teoria dell’illustre maestro si rivela fin da subito la nozione di animus domini. Tale animus, ricostruito sulla base di alcuni passi di Teofilo10, si dimostra infatti inidoneo ad abbracciare le figure del precarista, del creditore pignoratizio e del sequestratario, né convincente appare l’artificio del possesso derivato.

7Da qui il sorgere di vari indirizzi interpretativi, volti, tutti, a tentare di armonizzare i tre casi appena menzionati con il requisito soggettivo che, al di là della sua criticata configurazione, resta comunque saldo. Alcuni11 preferiscono leggere i casi del precarista, del creditore pignoratizio e del sequestratario come ipotesi eccezionali di possesso privo di animus domini; altri12, invece, avanzano una spiegazione volta ad individuare nella evoluzione storica la possibile causa dei possessi cosiddetti derivati13. Altri14, ancora, pensano di risolvere l’antinomia intervenendo sulla nozione di animus, dilatandola al punto da ricomprendervi anche le ipotesi di possesso che Savigny qualifica come derivato.

8Tra questi ultimi, ma con significative differenze, Rudolf von Jhering15 ricopre un ruolo di assoluto rilievo. L’autorevole studioso, infatti, accresce il concetto di animusanimus è la volontà di stare in un rapporto di dominazione, più o meno esteso, sulla cosa — a tal punto da cancellare, sotto l’aspetto soggettivo, ogni diversità tra possesso e detenzione, diversità che egli riconduce ad un dato oggettivo: le causae previste dall’ordinamento giuridico. Tuttavia, è bene sottolineare come anche l’opinione avanzata da Jhering, benché impostata in termini obiettivi, dia “come presupposta e conosciuta dai giuristi romani la nozione di animus possidendi, la presenza del quale, anziché essere negata, viene estesa a ogni ipotesi di detenzione”16.

9Eliminate le teorie intermedie, sorgono nuovi orientamenti dottrinarii che si segnalano per il tentativo di cercare una possibile convivenza tra le ipotesi espresse da Savigny e da Jhering. In questo contesto, è opportuno evidenziare la posizione assunta da Salvatore Riccobono17 il quale, approfondendo alcune idee già in precedenza apparse18, distingue due fasi: una più antica, nella quale i giuristi avrebbero affrontato la questione del possesso attraverso il sistema oggettivo delle causae possessionis, ed una più recente, nella quale i giuristi ― da Labeone a Paolo ― avrebbero invece elaborato la nozione di animus.

10Ma lo studioso cui viene riconosciuto il merito di essere pervenuto a “risultati più o meno definitivi”19 è Pietro Bonfante20. L’illustre autore, da un lato, mette a profitto le diverse interpretazioni che sottolineano lo sviluppo storico del possesso e, dall’altro, conferma la costruzione ‘binaria’ avanzata da Savigny, correggendola sotto l’aspetto terminologico. Riguardo alla disponibilità del bene, infatti, parla di possessio corpore o corporalis21, mentre rispetto all’elemento spirituale sostituisce all’animus domini l’animus possidendi o altre analoghe espressioni: “… l’animus del possessore è un’intenzione di padroneggiare, di signoreggiare la cosa, ma il possessore pensa tanto poco di riferirsi alla proprietà, quanto poco reputa bene spesso di aver acquistato il diritto di proprietà. Il romano che ha in mente il concetto che abbiamo posto della possessio, non può errare circa l’animus possidendi, non può aver in mente una limitata artificiosa costruzione distinta dall’intenzione signorile del proprietario”22.

11In questo lungo dibattito non si possono infine dimenticare i penetranti studi, tra gli altri23, di Rotondi24, Albertario25, Lauria26, Möhler27, Bozza28, Burdese29, Albanese30, Capogrossi Colognesi31 e Castro Sáenz32.

12In opposizione alla teoria appena vista, si pone la cosiddetta teoria ‘eterodossa’ del possesso, rispetto alla quale occorre partire da Silvio Perozzi33 e poi da Bruno Fabi34, la cui originale intuizione, seppur in forma soltanto accennata e non adeguatamente supportata dal commento esegetico, può essere considerata l’antesignana di un nuovo indirizzo storiografico. La sua “felicissima intuizione”35, che non vede nell’animus un elemento del possesso, viene infatti ripresa e approfondita alcuni anni dopo da autorevoli studiosi. Non ci sembra pertanto errato individuare nella riflessione del professore camerte il germe di un nuovo indirizzo storiografico il quale, emancipandosi dal forte condizionamento esercitato dalla dominante costruzione binaria della possessio, si caratterizza proprio per il fatto di configurare l’animus in contrapposizione al corpus o, addirittura, all’esterno del possesso.

13Con due lavori apparsi nel 1960 e nel 196136, Carlo Augusto Cannata spezza il rapporto di necessaria complementarietà tra corpore possidere ed animus e lo sostituisce con una diversa relazione, la quale sarebbe ravvisabile negli esponenti della scuola proculiana e nei giuristi successivi che mostrano di seguirli. Corpus e animus diventano, da elementi costitutivi del possesso, mezzi alternativi e paralleli attraverso i quali si possiede: “dato che l’uomo è fatto di corpo e di anima, se pure non corpore conserva il possesso, è chiaro che lo conserva con l’anima”37. L’animus si delinea come un mezzo immateriale ― una “mystische Macht”, secondo l’espressione di Hägerström38 ― che consente di operare sul possesso in maniera del tutto equivalente agli atti fisici corrispondenti.

14Il secondo studioso a non ritenere l’animus un elemento del possesso, almeno per tutta l’età classica, Paolo compreso39, è Pierpaolo Zamorani40. L’autore ferrarese attribuisce alla giurisprudenza romana una nozione prettamente materialistica del possesso41, nella quale l’animus non trova posto alcuno. L’animus sarebbe un’entità esterna ed accessoria al possesso, presa in considerazione dai giuristi per consentirne, in determinate ipotesi, la conservazione o l’acquisto. Il vero cambiamento nel modo di intendere l’animus, secondo Zamorani, si sarebbe verificato solo a partire dall’età postclassica: in questo periodo l’animus sarebbe divenuto l’elemento soggettivo del possesso, e quindi un elemento da ravvisare, insieme al corpus, in ogni fattispecie possessoria.

15Nell’indirizzo che critica la costruzione ‘binaria’ del possesso, può forse rientrare, da ultima, Paola Lambrini42 la quale, sottolineando la “mancanza di una impostazione teorica generale ad opera della giurisprudenza classica”, sembra propendere per la ricostruzione avanzata da Cannata, laddove scrive che corpus e animus “sono relativi a due distinti mezzi con i quali si opera sul possesso”43.

3. L’impiego del termine animus in materia possessoria: Labeone, Proculo e Nerazio.

16Le due teorie appena esposte possono trovare, a mio avviso, un punto di contatto valorizzando l’aspetto evolutivo del concetto di possessio.

17Occorre, dunque, ripartire dalle fonti, dalle quali sembra emergere che la riflessione giurisprudenziale, in tema di animus e di corpus, sia connotata, almeno fino ad un certo momento44, da una sostanziale continuità. In altri termini, le fonti lasciano intravvedere una evoluzione, un percorso, connotato da tappe in stretto legame l’una con l’altra, senza salti o interruzioni. Il tentativo è quello di ripercorrere questo cammino, mettendo in luce i passi più significativi45 e cercando di evidenziare i principali snodi che hanno consentito a Paolo di giungere alla definizione del possesso come insieme di corpus e di animus.

18Partiamo allora dalle fonti, da cui emergono due dati. Innanzitutto, che il primo momento di riflessione si rinviene nella scuola proculiana: inizia con Labeone46 e prosegue con Proculo47 e Nerazio48, i quali incominciano ad utilizzare il termine animus nell’ambito dell’acquisto e della conservazione del possesso, per cercare di ammetterne l’esistenza in assenza della relazione fisica con la cosa.

19Il secondo dato, poi, è il fatto che questo momento di riflessione riguarda il termine animus, e non il termine corpus, il quale sembra fare il proprio ingresso nella nozione di possesso solo in un secondo momento49.

20Iniziamo leggendo un testo di Giavoleno che richiama Labeone:

21D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.): Quarundam rerum animo possessionem apisci nos ait Labeo: veluti si acervum lignorum emero et eum venditor tollere me iusserit, simul atque custodiam posuissem, traditus mihi videtur. idem iuris esse vino vendito, cum universae amphorae vini simul essent. sed videamus, inquit, ne haec ipsa corporis traditio sit, quia nihil interest, utrum mihi an et cuilibet iusserim custodia tradatur. in eo puto hanc quaestionem consistere, an, etiamsi corpore acervus aut amphorae adprehensae non sunt, nihilo minus traditae videantur: nihil video interesse, utrum ipse acervum an mandato meo aliquis custodiat: utrubique animi quodam genere possessio erit aestimanda.

22Il testo, oggetto di numerose critiche in chiave interpolazionistica50, non è di agevole comprensione a causa del continuo sovrapporsi tra il pensiero di Labeone e quello di Giavoleno, nonché di due diverse fattispecie, in origine trattate separatamente o forse nemmeno presenti nel testo.

23Tuttavia, la prima parte (fino a simul essent), ossia la parte che riproduce l’opinione del giurista augusteo, è ritenuta dalla maggior parte degli studiosi genuina51. Labeone afferma che di ‘certe cose’ si acquista il possesso con l’animus52, come ad esempio nella compravendita di una grande quantità di legname o di numerose anfore di vino: se il venditore ha autorizzato il compratore a portarle via, queste cose sembrano consegnate53 non appena lo stesso compratore pone la custodia54.

24Fermiamoci qui e tralasciamo il prosieguo del passo55, nel quale, come detto, due diverse fattispecie sono state verosimilmente mescolate. Da questo primo periodo pare ricavarsi che Labeone sostenesse, in relazione a beni non facilmente asportabili, la possibilità di acquistarne animo il possesso. Il giurista avrebbe ritenuto acquisito il possesso da parte del compratore anche prima che quest’ultimo ne avesse perfezionato l’apprensione corporale: la possessio sarebbe sorta quando il compratore, dopo essere stato autorizzato dal venditore a tollere le cose, avesse posto loro la custodia, vale a dire quando il compratore ne avesse assunto il “rischio”56, la “potestas rei57 o “la sorveglianza”58.

25Ma Labeone non sarebbe stato l’unico ad ammettere l’acquisto animo del possesso, se si accetta l’interpolazione segnalata da autorevoli studiosi59 di un notissimo passo di Paolo:

26D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.): Neratius et Proculus et solo animo [non] posse nos adquirere possessionem <et> si non antecedat naturalis possessio. ideoque si thensaurum in fundo meo positum sciam, continuo me possidere, simul atque possidendi affectum habuero, quia quod desit naturali possessioni, id animus implet. ceterum quod Brutus et Manilius putant eum, qui fundum longa possessione cepit, etiam thensaurum cepisse, quamvis nesciat in fundo esse, non est verum: is enim qui nescit non possidet thensaurum, quamvis fundum possideat. sed et si sciat, non capiet longa possessione, quia scit alienum esse. quidam putant Sabini sententiam veriorem esse nec alias eum qui scit possidere, nisi si loco motus sit, quia non sit sub custodia nostra: quibus consentio.

27Come molti studiosi hanno rilevato60, il testo è stato verosimilmente oggetto di numerosi interventi che ne hanno modificato la sostanza originaria. Pensiamo, ad esempio, all’esordio, in cui è stato proposto di inserire Nerva in luogo di Neratius61, in quanto “è più naturale che innanzi a Proculo sia nominato il caposcuola e predecessore che non un giureconsulto posteriore”62, oppure di aggiungere Labeo63 o ille64; ancora all’et65 successivo a Proculus, da alcuni conservato e fatto seguire da Nerva66, da altri trasformato in at, che rimanda alla forma verbale aiunt67, da reputare altrimenti implicita; pensiamo, infine, al termine solus, espunto da qualche autore68.

28Gli interventi in questione, tuttavia, non si limiterebbero a qualche isolato termine, ma si estenderebbero all’intero primo periodo69, in quanto contraddittorio70. Paolo, infatti, informa che Proculo e Nerazio subordinavano l’acquisto solo animo del possesso alla naturalis possessio del bene. Pertanto, prima sarebbe stato necessario procurarsi la materiale disponibilità della cosa e poi si sarebbe potuto acquisire il possesso con il solo animus. L’antinomia sembra affiorare: come è possibile parlare di un possesso acquistato solo animo una volta che si è ottenuta la materiale disponibilità del bene?

29Dunque, la verosimile contraddizione dell’esordio mette in dubbio l’autenticità dell’opinione di Proculo e Nerazio, e suggerisce, al fine di rinvenire maggiori informazioni, di proseguire nella lettura del frammento, dove Paolo introduce, come ipotesi di concreta applicazione della regola, il caso del tesoro. Rispetto al possesso di questo, i due giuristi appena menzionati ne condizionavano l’acquisto all’effettiva conoscenza, ossia, così sembra, al ritrovamento dello stesso tesoro71 e al conseguente possidendi affectus72. Segue una frase (quia quod desit naturali possessioni, id animus implet73) che pare rimandare al fatto che Proculo e Nerazio, appurato il fatto che l’apprensione corporale del bene non si era ancora realizzata74, facevano ricorso all’animus per determinare il sorgere della fattispecie possessoria.

30Collegando quanto appena detto alla circostanza che quantomeno a partire dall’età classica avanzata l’acquisto del possesso solo animo viene escluso75, non ci sembra improbabile che tutto il primo periodo sia stato sottoposto ad una decisa manipolazione, tesa a modificare un’opinione minoritaria, favorevole ad un acquisto del possesso solo animo, per adeguarla alla nuova disciplina.

31Si potrebbe pertanto accettare la proposta di Bremer, vista sopra, o altre più invasive76, secondo cui Nerazio e Proculo sarebbero stati favorevoli ad un acquisto animo del possesso.

32Continuando nella lettura del frammento si rinvengono altri indizi a sostegno della ipotesi avanzata. Paolo, dopo aver richiamato anche Bruto e Manilio ― i quali pensavano che l’usucapione del fondo comportasse l’usucapione del tesoro, anche nel caso in cui se ne ignorasse l’esistenza77 ―, ritiene più corretto il parere espresso da Sabino: per possedere il tesoro occorre non solo sapere della sua presenza, ma pure provvedere alla rimozione, in quanto senza quest’ultima attività la cosa non può dirsi sub custodia78. Se, dunque, Sabino e Paolo ritenevano necessario al sorgere della possessio l’apprensione corporale del bene, è verosimile pensare che Nerazio e Proculo non lo sostenessero. Nerazio e Proculo sarebbero stati favorevoli ad un acquisto animo del possesso, mentre Sabino e Paolo sarebbero stati contrari79.

33Se così è, si potrebbe allora pensare che Proculo e Nerazio, analogamente a Labeone80, fossero orientati ad ammettere, rispetto a beni non facilmente asportabili ― la catasta di legna, le anfore, il tesoro ―, l’acquisto animo del possesso.

4. Ancora Proculo e Nerazio.

34Detto dell’acquisto del possesso, passiamo ora all’aspetto della conservazione, rispetto al quale viene innanzitutto in considerazione un passo di Proculo:

35D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.): Si is, qui animo possessionem saltus retineret, furere coepisset, non potest, dum fureret, eius saltus possessionem amittere, quia furiosus non potest desinere animo possidere.

36Proculo informa che la sopravvenuta pazzia di chi possiede animo un saltus impedisce la perdita della possessio. Questa, infatti, continua fino al protrarsi dello stato di insania81, poiché il furiosus non può cessare di possedere con l’animus82.

37L’opinione, che individua in Proculo il primo giurista ad aver introdotto la regola della possessio animo retenta, non è smentita da un passo ulpianeo:

38D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.): Quod volgo dicitur aestivorum hibernorumque saltuum nos possessiones animo retinere, id exempli causa didici Proculum dicere: nam ex omnibus praediis, ex quibus non hac mente recedemus, ut omisisse possessionem vellemus, idem est.

39Ulpiano83, in relazione alla conservazione animo del possesso dei beni immobili, informa di aver appreso che Proculo menzionava i saltus hiberni et aestivi come mero esempio84 di applicazione della regola.

40Non è mia intenzione soffermarmi sulla correttezza di quest’ultima affermazione — alcuni studiosi85 ritengono che la possessio animo retenta avesse con i saltus una relazione originaria86, e che soltanto in un secondo momento sia stata estesa ad ogni altro immobile —, bensì rimarcare il fatto che Ulpiano collega la regola del mantenimento animo del possesso a Proculo, rendendo così verosimile l’opinione che assegna a quest’ultimo giurista la paternità dell’istituto87.

41Cosa comportasse poi retinere animo possessionem non è facile dire. In particolare, non è chiaro se già con Proculo la regola prevedesse la conservazione del possesso nonostante un terzo fosse entrato nel fondo dopo l’allontanamento del proprietario88.

42Nerazio, citato da Paolo, riferisce questo regime89, individuando la perdita del possesso in un momento successivo all’invasione del terzo nel bene:

43D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si nolit in fundum reverti, quod vim maiorem vereatur, amisisse possessionem videbitur: et ita Neratius quoque scribit90.

44Se il possessore, lontano dal fondo, non voglia tornare per paura di una forza maggiore, sembra aver perduto il possesso: et ita Neratius quoque scribit.

5. Gaio e Pomponio: l’animus non relinquendae possessionis e i beni immobili.

45Il momento di elaborazione appena visto — acquisto animo del possesso di beni non facilmente asportabili e conservazione animo del possesso degli immobili91 — viene preso in considerazione dalla giurisprudenza successiva, la quale continua nella direzione intrapresa dalla scuola proculiana, da un lato per respingerne i risultati, dall’altro per confermarli e precisarli.

46Iniziamo dal momento dell’acquisto animo del possesso, il quale viene respinto da Gaio:

47Gai. 4,153: … Adipisci vero possessionem per quos possimus, secundo commentario rettulimus. Nec ulla dubitatio est, quin animo possessionem adipisci non possimus.

48Il giurista antoniniano esclude che la possessio possa essere ottenuta animo, vale a dire attraverso una modalità che prescinde dalla relazione fisica con il bene.

49Il tentativo di Labeone, di Proculo e Nerazio di ammettere la possibilità di un acquisto animo del possesso non sembra dunque trovare accoglimento in Gaio, il quale, al contrario, si mostra favorevole alla conservazione animo del possesso, facendoci altresì intravvedere in cosa consista questo animus:

50Gai. 4,153: … Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessio<nem, id est ut quamvis neque ipsi simus in possessione>92 neque nostro nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur…

51Riguardo alla conservazione del possesso, Gaio riferisce che ‘i più ritengono che il possesso possa essere conservato anche con l’animus, ossia quando né noi stessi siamo sul bene93 né un altro vi sia in nome nostro; tuttavia, se ci siamo allontanati con l’animus di non abbandonare il possesso, ma per ritornare successivamente, noi sembriamo conservare il possesso’.

52Orbene, la testimonianza gaiana si rivela assai preziosa, perché informa che la maggior parte dei giuristi94 ― tra cui assai verosimilmente lo stesso Gaio95 ― è propensa a concedere che il possesso vada mantenuto in forza dell’animus non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri), quando la disponibilità materiale del bene sia venuta meno: se il dominus si allontana dal fondo con l’intenzione di non abbandonarlo, ma di farvi ritorno, conserva il possesso del bene.

53La stessa situazione ― allontanamento del dominus dal fondo con volontà di farvi ritorno ― si legge, benché nella prospettiva della perdita del possesso, in un testo di Pomponio il quale, tuttavia, non accenna a contrasti giurisprudenziali. La regola pare avere il generale consenso: il possesso può essere mantenuto animo. Ciò che appare, invece, oggetto di disputa96 è il momento in cui si verifica la perdita di una possessio conservata animo:

54D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio, an vero (quod quasi magis probatur)97 usque eo possideamus, donec revertentes nos aliquis repellat aut nos ita animo desinamus possidere, quod suspicemur repelli nos posse ab eo, qui ingressus sit in possessionem: et videtur utilius esse98.

55Alcuni giuristi fanno coincidere la perdita della possessio con l’entrata di un terzo nel fondo99, mentre altri la individuano in un momento successivo, ossia quando il proprietario, tornato sull’immobile, venga scacciato dall’invasore, oppure quando il medesimo proprietario decida di non fare ritorno sul bene per timore dell’occupante100. A quest’ultima soluzione aderisce Pomponio, confermandoci che l’animus valorizzato ai fini della conservazione del possesso si esplicita nell’intenzione del dominus di ritornare nel fondo.

56Infatti, come è stato notato101, solo attribuendo al termine animus questo significato diviene intelligibile il regime descritto: il fatto che il titolare perda il possesso quando decida di non fare ritorno sul bene, lascia intuire che è proprio l’intenzione di rientrare nell’immobile a permettere la conservazione del possesso; se, dopo l’allontanamento del proprietario, questa intenzione persiste, il possesso è mantenuto; se invece viene meno, il possesso è perso102.

57Non è di ostacolo a questa lettura l’altra variante prevista da Pomponio, ossia quella del possessore che, ritornando sul fondo, venga respinto dall’invasore. Anche in questo caso, infatti, la perdita del possesso è collegata alla volontà di rientrare nell’immobile: la perdita del possesso non è dovuta alla rinuncia del proposito di ritornare, bensì al suo materiale impedimento103.

6. Papiniano: l’animus, i beni immobili e il termine corpus.

58Veniamo ora alla giurisprudenza tardo classica, in particolare a Papiniano, Ulpiano e Paolo, il cui contributo assume un ruolo di estrema importanza nello sviluppo del concetto di possessio.

59Papiniano, sempre in tema di acquisto e di conservazione del possesso, si inserisce nella linea che troviamo già tracciata in Gaio, secondo cui il possesso non può essere acquistato animo:

60D. 41,2,44,1 (Pap. 23 quaest.): … nec tamen eo pertinere speciem istam, ut animo videatur adquiri possessio: nam si non ex causa peculiari quaeratur aliquid, scientiam quidem domini esse necessariam, sed corpore servi quaeri possessionem104.

61Il giurista afferma che il possesso non può ottenersi animo105. Infatti, il possesso, quando avviene non ex causa peculiari, si consegue corpore servi106.

62Al contrario, il possesso degli immobili può essere conservato animo, come si apprende da:

63D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): … nam saltus hibernos et aestivos, quorum possessio retinetur animo,

D. 41.2.45 (Pap. 2 def.): Licet neque servum neque colonum ibi habeamus,

D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.): Quamvis saltus proposito possidendi fuerit alius ingressus, tamdiu priorem possidere dictum est, quamdiu possessionem ab alio occupatam ignoraret…

64Il giurista, anche in questo caso non allontanandosi dal pensiero giurisprudenziale precedente107, informa che il possesso dei saltus hiberni et aestivi può essere mantenuto animo. Il dominus che si allontana dal saltus, senza lasciarvi un intermediario, conserva animo il possesso fino al momento in cui, venuto a conoscenza dell’invasione da parte di un terzo, decide di non ritornare108.

65Tuttavia, Papiniano non si limita a fare propri i risultati della giurisprudenza precedente per quanto concerne il termine animus, ma va oltre, ponendo le basi per il rilevante cambiamento attuato poi da Paolo.

66A Papiniano spetta, infatti, a mio avviso il merito di iniziare ad utilizzare in maniera tecnica il termine corpus.

67Leggiamo in rapida sequenza:

68D. 41,2,44,1-2 (Pap. 23 quaest.): … nam si non ex causa peculiari quaeratur aliquid, scientiam quidem domini esse necessariam, sed corpore servi quaeri possessionem. 2 Quibus explicitis, cum de amittenda possessione quaeratur, multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus, possessionem amitti vel animo vel etiam corpore109, si modo eo animo inde digressi fuissemus, ne possideremus: eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur, non aliter amitti possessionem, quam eam alius ingressus fuisset, eamque amitti nobis quoque ignorantibus…

69Nel testo sembra scorgersi l’impiego di un lessico mai utilizzato prima, se non in maniera occasionale110. Nel paragrafo 1, il giurista afferma che nell’ipotesi di acquisto del possesso non ex causa peculiari, la situazione possessoria sorge corpore servi, con la necessaria scientia domini111; nel paragrafo 2, poi, il possesso mantenuto per nosmet ipsos si trasforma nel possesso esercitato corpore nostro, mentre il possesso per alios in quello esercitato servi vel coloni corpore.

70Si tratta di un dato assai rilevante, indice del fatto che Papiniano, pur muovendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza anteriore, innova sotto l’aspetto terminologico. Egli sembra iniziare ad utilizzare con valenza tecnica il termine corpus, al fine di indicare una modalità attraverso la quale si possiede: il possesso si acquista112 e si mantiene113 attraverso il nostro ‘corpo’ oppure attraverso il ‘corpo’ di un intermediario.

71Il confronto con Gaio dà evidenza del possibile cambiamento:

Gai. 4,153: Possidere autem videmur non solum si ipsi possideamus, sed etiam si nostro nomine aliquis in possessione sit…
D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): … multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus… eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur…



7. Ulpiano: animus e corpus come modalità alternative di possedere.

72Il passo compiuto da Papiniano ― introduzione del termine corpus e suo accostamento al termine animus ― non poteva rimanere senza conseguenze. Tuttavia, queste ci sembrano assai diverse in Ulpiano e in Paolo. Ulpiano opta per una soluzione che potremmo dire in linea con la tradizione; Paolo, invece, per una soluzione che a me sembra assai innovativa.

73Iniziamo da Ulpiano, il quale mette a profitto la riflessione di Papiniano, contrapponendo in maniera esplicita due distinte modalità di possedere, il corpore possidere e l’animo possidere:

74D. 43,16,1,24 (Ulp. 69 ad edict.): Sive autem corpore sive animo possidens quis deiectus est, palam est eum vi deiectum videri. idcircoque si quis de agro suo vel de domo processisset nemine suorum relicto, mox revertens prohibitus sit ingredi vel ipsum praedium, vel si quis eum in medio itinere detinuerit et ipse possederit, vi deiectus videtur: ademisti enim ei possessionem, quam animo retinebat, etsi non corpore.

75Ulpiano informa che sembra scacciato vi colui il quale deiectus est mentre possedeva sive corpore sive animo. Mi pare che con queste espressioni ― corpus ed animus ― Ulpiano intenda indicare due differenti modalità di esercizio del possesso, modalità tra loro alternative114, nel senso che il possesso corpore esclude il possesso animo e il possesso animo esclude il possesso corpore115.

76L’interpretazione ora avanzata viene avvalorata dall’esempio che il giurista introduce subito dopo, esempio nel quale egli descrive il passaggio da un possesso esercitato corpore ad un possesso esercitato animo: un soggetto si allontana dal proprio campo o dalla propria abitazione senza lasciarvi alcun intermediario e, nel momento in cui ritorna, un terzo gli impedisce l’ingresso116. Il proprietario, commenta Ulpiano, sembra essere scacciato con la violenza, in quanto gli viene sottratto un possesso che egli conservava animo etsi non corpore.

77La chiusa, dunque, sembra accreditare la lettura data all’esordio del testo ― corpus e animus come modalità alternative di conservazione del possesso ―: nel momento dell’allontanamento dal fondo, il titolare cessa di possedere corpore ed inizia a possedere animo, rendendo ancora possibile la deiectio.

78Un altro argomento a sostegno di quanto testé detto si rinviene in uno dei paragrafi successivi a quello appena esaminato:

79D. 43,16,1,26 (Ulp. 69 ad edict.): Eum, qui neque animo neque corpore possidebat, ingredi autem et incipere possidere prohibeatur, non videri deiectum verius est: deicitur enim qui amittit possessionem, non qui non accipitur.

80Il giurista definisce deiectus colui il quale perde il possesso, e non colui il quale, non essendo ancora possessore, non lo apprende. Pertanto, colui che non possiede neque animo neque corpore non sembra deiectus se gli viene impedito di entrare nel fondo e di iniziare a possedere.

81Orbene, anche in questo testo le espressioni animus e corpus appaiono dal giurista utilizzate per indicare due distinte modalità attraverso le quali il possesso viene conservato117: ‘chi non possiede né in un modo (corpore) né in un altro (animo) non videri deiectum verius est’.

82Tuttavia, ancora in Ulpiano il termine animus continua ad essere utilizzato in un unico ambito, quello degli immobili, e con un significato del tutto particolare, ossia come intenzione di non abbandonare il fondo dal quale ci si è allontanati, ma di rientrare non appena le circostanze lo consentano.

8. Paolo: animus e corpus come elementi costitutivi del possesso.

83Da ultimo Paolo, nei cui frammenti è documentata una profonda innovazione118. Egli, infatti, pur muovendosi all’interno della riflessione giurisprudenziale precedente ― da un lato, continua a negare la possibilità di acquistare animo il possesso119 e, dall’altro, ad ammettere la possibilità di conservare animo il possesso degli immobili120 ―, pare intervenire su ruolo e significato dei termini animus e corpus.

84Innanzitutto, prende atto che le espressioni corpus e animus presentano un’estensione assai diversa. Infatti, mentre il termine corpus è impiegato per indicare in generale l’aspetto del controllo ‘fisico’ sulla cosa, il termine animus persiste ad essere utilizzato in un ambito limitato, quello degli immobili, e nel particolare significato di proposito di non abbandonare, ma di ritornare nel fondo dal quale ci si è allontanati. Poi, che le espressioni corpus e animus sono usate in maniera alternativa, ossia come due distinte e contrapposte modalità attraverso le quali si esercita il possesso.

85Preso atto di questo, Paolo intuisce che nulla è di ostacolo a che il termine animus venga usato in una accezione più ampia, equivalente a quella già rivestita dal termine corpus, così come nulla è di ostacolo al fatto che le due espressioni vengano usate congiuntamente, finendo per denotare l’elemento spirituale ― animus ― e l’elemento materiale ― corpus ― del possesso.

86In questo modo, egli giunge a costruire una teorica in cui animus e corpus si prestano a giustificare tutte le fasi della possessio121, comprese quelle nelle quali viene acquistata e conservata attraverso un intermediario:

87P.S. 5,2,1122: Possessionem adquirimus et animo et corpore: animo utique nostro, corpore vel nostro vel alieno. Sed nudo animo adipisci quidem possessionem non possumus, retinere tamen nudo animo possumus, sicut in saltibus hibernis aestivisque contingit.

D. 41,2,3,1 (Paul. 54 ad edict.): Et apiscimur possessionem corpore et animo, neque per se animo aut per se corpore…

D. 41,2,3,7 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si animo solo possideas, licet alius in fundo sit, adhuc tamen possides.

D. 41,2,3,8.12 (Paul. 54 ad edict.): … quod si servus vel colonus, per quos corpore possidebam, decesserint discesserintve, animo retinebo possessionem… 12 Ceterum animo nostro, corpore etiam alieno possidemus, sicut diximus per colonum et servum, nec movere nos debet, quod quasdam etiam ignorantes possidemus, id est quas servi peculiariter paraverunt: nam videmur eas eorundem et animo et corpore possidere.

D. 41,2,8 (Paul. 65 ad edict.): Quemadmodum nulla possessio adquiri nisi animo et corpore potest, ita nulla amittitur, nisi in qua utrumque in contrarium actum est.

88È sufficiente una rapida lettura dei testi per cogliere la profonda differenza tra Paolo e gli altri giuristi. Nel pensiero di Paolo i termini animus e corpus sono presenti in ogni momento della fattispecie possessoria: il possesso si acquista animo nostro et corpore nostro123 oppure animo nostro et corpore alieno124, ma nudo animo adipisci quidem possessionem non possumus; allo stesso modo, va mantenuto animo nostro et corpore nostro125 oppure animo nostro et corpore alieno126, anche se retinere nudo animo possumus; infine, il possesso si perde animo et corpore127 o, talvolta, anche solo animo128.

Articles Jan. 21, 2019
© 2019 fhi
ISSN: 1860-5605
First publication
Jan. 21, 2019

DOI: https://doi.org/10.26032/fhi-2019-005