Zeitschrift Aufsätze

Federica Bertoldi

Inadempimenti del comodatario e profili di responsabilità nel diritto romano

1. Premesse.

1La letteratura romanistica1, in verità non molto ampia, in tema di comodato, si è occupata prevalentemente della nozione del contratto2. Come è noto, il comodato (commodatum o utendum datum) è un contratto reale, che esige per la sua formazione due elementi: la consegna al comodatario della cosa che costituisce l’oggetto del contratto e una convenzione secondo la quale il comodatario si obbliga a riconsegnare al comodante3, nel momento convenuto o dopo l’uso, la cosa che è stata prestata.

2Altra caratteristica essenziale è la sua gratuità4, così da essere normalmente definito “prestito d’uso gratuito”5. Quindi il termine ‘commodatum’ sembra derivare da cum modo datum, prestito fatto cum modo; il modus farebbe riferimento al dovere del comodatario di fare della cosa solo l’uso stabilito6 e solamente per il tempo convenuto sia espressamente che tacitamente7.

3Usare la cosa significa trarre tutti i vantaggi che la cosa è in grado di fornire secondo la sua natura e la sua destinazione, a condizione che tale uso non vada a modificare la sostanza della cosa8, favorendone una diminuzione di valore9. Pertanto il comodatario deve attenersi all’uso che il comodante gli ha consentito e deve astenersi dall’usare la cosa oltre i limiti stabiliti10.

4L’uso che il comodatario può fare della cosa non è dunque illimitato. Il comodatario deve rendere la cosa dopo l’uso e di conseguenza è tenuto alla conservazione per poter compiere l’obbligazione di restituzione11. Il comodatario inoltre deve salvaguardare la cosa da possibili danni e ha l’obbligo di non deteriorarla.

5Dall’indagine della dottrina, mentre risulta chiara l’evoluzione della tutela di questo contratto, emerge invece la necessità di approfondire maggiormente l’evoluzione del problema della responsabilità contrattuale del comodatario, questione molto sentita dalla prassi, per evidenziare le diverse soluzioni date dai giuristi nel corso dei secoli12.

6In effetti le fonti giuridiche presentano “notevoli anomalie” relativamente ai criteri attraverso i quali è stata considerata la responsabilità del comodatario13, probabilmente determinate da singole figure di inadempimento. Tuttavia, prima di analizzare le fonti, pare utile evidenziare le più importanti opinioni dottrinali sul tema, che hanno richiamato, in materia di tale responsabilità, il concetto di custodia14, culpa15, diligentia16 ed exactissima diligentia17.

2. La letteratura sulla responsabilità del comodatario.

7Il primo autore meritevole di menzione che si è occupato di definire la nozione della custodia è lo Hasse18, secondo il quale la custodia richiede sempre un certo grado di diligenza nella protezione della cosa affidata. Significa essere tenuti alla difesa e alla sorveglianza di una cosa contro gli eventi esterni, che danneggiano la cosa nel suo valore oppure la sottraggono a colui per il quale la si deve custodire. Ogni custodia è quindi diligentia che è rivolta alla difesa della cosa. Le due forme di diligentia (diligentia quam in suis, diligentia diligentis) si riproducono nella responsabilità per custodia. La custodia richiama anche il concetto di culpa, nel cui ambito si inquadra anche la responsabilità del comodatario.

8Seguono le idee dello Hasse i seguenti autori: Goldschmidt19, Dernburg20, Puchta21, Engelmann22 e Ferrini23.

9Completamente diversa è invece la teoria del Baron24: il comodatario risponde per ‘custodia’ intesa “in senso tecnico”; la sua responsabilità abbraccia anche taluni casi fortuiti i quali non rientrano nel concetto di forza maggiore e che sono denominati casus minores. La “custodia tecnica” non comporta una semplice diligenza, ma fonda la responsabilità indipendentemente dalla diligentia in custodiendo. In sostanza, il debitore è responsabile anche per fatti come il furto e il danno non violento prodotti da terzi sulla cosa dovuta. La responsabilità del comodatario eccederebbe dunque i confini della culpa e arriverebbe fino a quelli della vis maior. Seguono le sue idee: Windscheid25, Brinz26 e Bruckner27.

10Posizione intermedia assume invece il Pernice28, il quale cerca di giustificare il contrasto tra i testi supponendo una “stratificazione di diverse concezioni”, frutto di una evoluzione storica. In particolare l’età preclassica conoscerebbe una responsabilità per custodia basata esclusivamente sulla fides che abbracciava la difesa dell’oggetto affidato contro il furto e il danno non violento. Nell’età adrianea la responsabilità per custodia e la diligentia si sarebbero fuse in un unico istituto concretizzando la culpa in custodiendo. Tale stato di cose sarebbe rimasto nel diritto giustinianeo, salvo rare eccezioni.

11Seguaci di questa tesi sono: Hollander29 e Volkmar30.

12Nella dottrina dei primi del Novecento emergono i seguenti autori: Seckel31, Kübler32, Haymann33, Vážný34 e Kunkel35; essi si preoccuparono di stabilire il campo di applicazione della responsabilità per custodia, intesa come responsabilità oggettiva limitata al solo diritto classico; i compilatori dunque si sarebbero affrettati a farla sparire nei testi del Digesto.

13In particolare, il Vážný36 riteneva che il comodatario rispondesse della perdita della cosa comodata avvenuta fuori dai casi esoneranti. Conseguenza di ciò era il fatto che il comodatario rispondeva del furtum ed era normalmente legittimato all’actio furti e all’actio legis Aquiliae37. La ragione della responsabilità per custodia del comodatario era il suo esclusivo interesse nel contratto: in mancanza di questo mancava anche la responsabilità per custodia38.

14Sempre nel ‘900 emerge un’altra corrente dottrinale, quella del Lusignani39, secondo la quale il diritto classico si sarebbe attenuto ad un criterio soggettivo di responsabilità e l’introduzione di un criterio oggettivo dovrebbe attribuirsi ai compilatori.

15Infine, altri contributi da segnalare sono quelli di: Paris40, Arangio-Ruiz41, Luzzatto42, Marton43, Betti44 e Pastori45.

16In particolare, il Paris46 ha ritenuto che il comodatario nel diritto classico rispondesse per custodia (sanzionata dalla formula in factum), ma accanto ad essa venisse prevista anche una responsabilità per colpa, sancita dalla formula di buona fede.

17In seguito, il Luzzatto47 ha ritenuto che il termine custodia indicasse la normale attività del custodire e come tale trovava impiego anche al di fuori della responsabilità contrattuale; tuttavia, secondo l’autore, il comodatario rispondeva per “custodia tecnica”, responsabilità oggettiva che prescindeva dal comportamento del debitore, esclusa solo dalla vis maior. Nel diritto giustinianeo tale responsabilità gli era ancora addossata, in funzione della regola dell’utilitas. Soltanto questa responsabilità era considerata dal punto di vista soggettivo quando da parte del debitore veniva meno un contegno riconducibile alla categoria della exactissima diligentia48. Si è pertanto passati da una responsabilità oggettiva, per certi determinati eventi, quale quella propria del diritto classico, a una responsabilità soggettiva, nel diritto giustinianeo49.

18Al contrario, l’Arangio-Ruiz50 appare meno propenso a irrigidire le responsabilità del comodatario nei limiti della custodia.

19Per il Pastori51 invece l’originaria responsabilità per custodia, che non consentiva alcuna indagine sull’elemento intenzionale, era sancita dalla formula in factum, che faceva riferimento all’obbligo di restituzione. In seguito, si è passati a una responsabilità di natura soggettiva, consona con i criteri della bona fides e sancita dalla formula in ius, che faceva riferimento al complesso comportamento delle parti, più in particolare alle varie obbligazioni del comodatario diverse dall’obbligo di restituzione, come l’obbligazione di non abusare della cosa e di preservarla dai danni. Mentre il diritto postclassico occupò una posizione che tendeva sempre ad avvicinarsi a una responsabilità colposa del diritto giustinianeo52.

20In seguito, lo Scherillo53 ha ritenuto inesatto affermare che nel diritto classico il comodatario rispondesse solo per custodia e che il concetto di colpa sia stato introdotto dai giustinianei54. Infatti, dalle fonti, la responsabilità per colpa del comodatario è profilata in modo netto.

21Il Cannata55 ha qualificato come preconcetto che il comodatario fosse responsabile solo per custodia, in quanto egli ha ritenuto assai tenue, dal punto di vista pratico, nel periodo classico, la demarcazione tra responsabilità oggettiva e soggettiva. Del resto con il custodiam praestare il debitore è tenuto a procurare un certo risultato (salvezza della cosa) con una certa attività (custodire). Mancando il risultato, l’indagine sull’adempimento sarà diretta a stabilire se il perimento dovuto a una data causa fosse evitabile con quel tipo di attività56.

22Secondo lo Zannini57, il comodatario assumeva su di sé ogni rischio inerente alla custodia e alla conservazione della cosa, con il solo limite del caso fortuito e della forza maggiore. A partire però da una certa epoca si sarebbe sviluppata la concezione della responsabilità del comodatario imperniata sul criterio soggettivo della colpa.

23Inoltre, secondo il Tardivo58, essendo il comodato a vantaggio del comodatario, questi era ampiamente responsabile nei confronti del comodante. Quindi il comodatario era tenuto nel diritto classico e in quello giustinianeo a rispondere “di qualunque evento afferente la cosa comodata”, prima nei limiti della custodia e poi della exactissima diligentia, ad eccezione del caso fortuito.

24Di recente il Cerami59, ha affermato che la responsabilità per custodia altro non è se non la responsabilità che discende dall’inosservanza dell’obbligo di “diligenza”, intesa come particolare cura nell’uso e nella conservazione della cosa.

25Per la Berndt60, nel periodo preclassico il comodatario era responsabile per culpa. Il concetto di culpa comprendeva oltre alla responsabilità per danneggiamenti intenzionali soprattutto la responsabilità per danneggiamenti dovuti a inadempienze degli obblighi di cura della cosa comodata. Poiché il comodato non apparteneva ai contratti miranti da entrambe le parti alla realizzazione degli utili, nel periodo classico non gli si poteva applicare il principio di utilità61. Inizialmente il comodatario rispondeva solo per dolo, ma a seguito di un’interpretazione evolutiva del principio di interesse, il comodatario rispose per colpa, cioè per negligenza nell’agire e per diligentia e per custodia62. Pertanto, la custodia con i suoi doveri derivanti dai concetti di culpa/diligentia è un insegnamento della giurisprudenza classica. L’inquadramento della custodia come responsabilità per colpa contrapposta alla responsabilità per caso fortuito, in particolare per il furto, è frutto del periodo tardo classico63.

26Da ultimo, il Milazzo64 ha affermato che la particolare ripetizione del concetto di colpa, in rapporto a quello di diligentia, nei passi del Digesto, esclude «la possibilità dell’accoglimento della tesi del carattere interpolato della colpa nella giurisprudenza classica». L’autore adotta dunque una “interpretazione conservativa”, riconoscendo il contributo dei giuristi classici nella “costruzione di una concezione soggettiva” della responsabilità del comodatario. Viceversa, il termine custodia indicherebbe un’attività di vigilanza, di sorveglianza, non coincidendo con un particolare criterio di responsabilità.

27A questo punto, fondamentale per la presente indagine è la lettura, oltre alle Istituzioni di Gaio e di Giustiniano, anche delle opere della giurisprudenza classica; in particolare i frammenti estratti dai commentari edittali, di Gaio, Paolo ed Ulpiano65. Da tale analisi emerge non solo l’origine pretoria dell’istituto66, ma l’evoluzione della giurisprudenza nel corso del tempo in materia di responsabilità contrattuale del comodatario, a cui si deve aggiungere la diversità dei criteri a seconda dei singoli inadempimenti. Si presenta una casistica molto ampia in cui le innovazioni postclassiche risultano «circoscrivibili ad abbreviazioni o amplificazioni dei testi classici»67.

3. La responsabilità per uso diverso della cosa rispetto a quanto pattuito

28Il comodatario non gode di un’intera libertà, relativamente all’uso della cosa prestata68. Normalmente la convenzione delle parti fissa i limiti e i modi. In assenza di una convenzione, il comodatario ha diritto di trarre dalla cosa tutto l’uso che essa comporta, mentre il comodante accetta le conseguenze dell’uso normale e regolare della cosa69.

29Se il comodatario fa della cosa prestata un uso diverso rispetto a quello cui è destinata, sia per natura, sia per convenzione, è responsabile per delictum. Difatti l’antico diritto romano, e non solo, su tale punto è di una severità estrema con il comodatario che viene considerato come un ladro70.

30Al proposito, Gellio, dopo aver richiamato il pensiero di Marco Giunio Bruto71, riporta il testo di una celebre massima muciana, che lascia intendere che il comodatario rispondeva per furtum usus72:

31Gell. 6,15,2: Itaque Q. Scaevola in librorum quos de iure civili composuit XVI verba haec posuit: ‘Quod cui servandum datum est si id usus est sive quod utendum accepit ad aliam rem atque accepit usus est, furti se obligavit’.

32“Quinto Mucio Scevola nel sedicesimo commmentario al ius civile ha scritto quanto segue: ‘Se a un soggetto è dato in custodia qualcosa ed egli se ne serve ovvero se di ciò che ha ricevuto in uso si serve per altro scopo da quello per cui l’ha ricevuto, egli risponde per furto’.”

33Ciò pare ribadito dal seguente passo, la cui paternità muciana è fuori discussione:

34D. 47,2,77 pr. (Pomp. 38 ad Quintum Mucium): Qui re sibi commodata vel apud se deposita usus est aliter atque accepit, si existimavit se non invito domino id facere, furti non tenetur. sed nec depositi ullo modo tenebitur: commodati an teneatur, in culpa aestimatio erit, id est an non debuerit existimare id dominum permissurum.

35Secondo Quinto Mucio, colui che delle cose da lui comodate fece un uso diverso da quello per cui le ricevette, se credeva di far ciò non invito domino, non è tenuto all’actio furti; la questione se sia o no tenuto anche all’azione di comodato dipende dal sapere se egli è o non è in colpa, vale a dire se avesse o no dovuto pensare che il proprietario lo avrebbe permesso. In sostanza si potrà considerare ladro solo il comodatario in grado di ritenere che il diverso uso della cosa comodata non sarebbe stato consentito dal comodante73.

36Da quanto visto il comodatario si rende colpevole del delictum di furtum usus, se utilizza la cosa comodata volutamente diversamente da quanto convenuto. Già questo passo evidenzia come emergesse un duplice profilo di responsabilità: il comodante, secondo Quinto Mucio, poteva intentare contro il comodatario l’actio furti e l’actio commodati74 cumulativamente, perché l’actio furti, che era penale, si cumulava con l’azione nata dal contratto75. La responsabilità da cui nasce l’actio commodati prevede un criterio di responsabilità più vasto ripetto all’actio furti, vale a dire la colpa.

37Un altro testo interessante in materia è il seguente:

38D.13,1,16 (Pomp. 38 ad Quintum Mucium): Qui furtum admittit vel re commodata vel deposita utendo, condictione quoque ex furtiva causa obstringitur: quae differt ab actione commodati hoc, quod, etiamsi sine dolo malo et culpa eius interierit res, condictione tamen tenetur, cum in commodati actione non facile ultra culpam et in depositi non ultra dolum malum teneatur is, cum quo depositi agetur.

39Colui che commise un furto, servendosi della cosa comodata, sarà soggetto anche alla condictio ex causa furtiva, la quale è differente dall’actio commodati, dal momento che, in forza di tale azione, il comodatario è responsabile, anche se la cosa perì senza suo dolo o colpa; mentre nell’actio commodati egli è responsabile per colpa.

40La condictio, azione reipersecutoria, si cumula con l’actio furti. Pomponio chiarisce che in certi casi, la condictio è possibile quando l’actio commodati non lo è, e fonda il regime di responsabilità del comodatario sulla colpa76.

41Sempre restando in tema, viene in considerazione il pensiero di Namusa, giurista allievo di Servio Sulpicio Rufo. Secondo il giurista, il comodatario nell’usare la cosa deve attenersi ai limiti stabiliti contrattualmente; l’uso deve porsi in relazione allo scopo particolare per cui il comodato viene concesso77:

42D. 13,6,5,7 (Ulp. 28 ad ed.): Sed interdum et mortis damnum ad eum qui commodatum rogavit pertinet: nam si tibi equum commodavero, ut ad villam adduceres, tu ad bellum duxeris, comodati teneberis: idem erit et in homine. plane si sic commodavi, ut ad bellum duceres, meum erit periculum. nam et si servum tibi tectorem commodavero et de machina ceciderit, periculum meum esse Namusa ait: sed ego ita hoc verum puto, si tibi commodavi, ut et in machina operaretur: ceterum si ut de plano opus faceret, tu eum imposuisti in machina, aut si machinae culpa factum minus diligenter non ab ipso ligatae vel funium perticarumque vetustate, dico periculum, quod culpa contigit rogantis commodatum, ipsum praestare debere: nam et Mela scripsit, si servus lapidario commodatus sub machina perierit, teneri fabrum commodati, qui neglegentius machinam colligavit.

43Come evidenziato dal Cardilli, «il passo ulpianeo discute la pertinenza del damnum mortis a chi abbia chiesto un servo in comodato»78. Talvolta il rischio della morte spetta al comodatario: così egli sarà tenuto in forza del comodato, se gli è stato prestato un cavallo perché lo portasse nella sua casa di campagna e invece lo ha condotto in guerra. Tuttavia, se il comodante prestò il cavallo perché lo si conducesse alla guerra, il rischio sarà del comodante stesso che dovrà pertanto sottostare al damnum mortis79.

44Relativamente al comodato di un servo, Namusa in particolare dice che se un soggetto avesse comodato uno schiavo imbianchino, il quale fosse morto cadendo dall’impalcatura (machina), il periculum sarà del comodante80, solo nel caso in cui il comodante abbia prestato il servo per farlo lavorare anche sull’impalcatura; al contrario, se il comodante prestò il servo per farlo lavorare de plano e il comodatario lo fece andare su un ponte, ovvero se l’impalcatura fosse stata legata con poca diligenza o essa avesse funi di sicurezza o pertiche vecchie, e il servo perì, il danno cagionato per colpa del comodatario deve essere a suo carico81. Anche Mela82 dice che se uno schiavo muratore comodato a un lavoratore di pietre sia morto sotto un’impalcatura, quell’artigiano, per aver allestito il ponteggio con negligenza, è soggetto all’azione di comodato83.

45Come è stato autorevolmente sostenuto, «… la colpa consiste nella violazione di un limite contrattuale nei casi del cavallo o dello schiavo condotto alla guerra invece che ad villam, dello schiavo dato in comodato perché operasse a terra e che invece è stato messo a lavorare su di un’impalcatura. E dal testo risulta bene che in tali ipotesi la constatazione della violazione del limite contrattuale è sufficiente per imputare il danno alla parte, senza specifiche valutazioni della condotta di questa»84.

46Dal passo il concetto di culpa emerge «nei casi di uso difforme da quello convenuto, ovvero quando, potendo scegliere tra il salvataggio delle cose proprie e quelle del comodante, si sia scelto quello delle proprie»85.

47Il tema del furtum usus ritorna in un testo assai interessante del 31 d.C.:

48Val. Max. 8,2,4: Multus sermo eo etiam iudicio manavit, in quo quidam furti damnatus est, qui equo, cuius usus illi Ariciam conmodatus fuerat, ulteriore eius municipii clivo vectus esset. Quid aliud hoc loci quam verecundiam illius saeculi laudemus, in quo tam minuti a pudore excessus puniebantur?

49A parere di Valerio Massimo, grande scalpore aveva suscitato un processo che finì con la condanna per furto di un tale che, preso in comodato un cavallo per viaggiare fino ad Aricia, si era spinto fino ad un’altura vicino al municipio. L’autore ironizza sul fatto che venivano punite infrazioni che per lui erano insignificanti.

50Altro passo interessante in materia proviene da Gaio:

51Gai. 3,196: … et si quis utendam rem acceperit eamque in alium usum transtulerit, furti obligatur, veluti si quis argentum utendum acceperit, quasi amicos ad cenam invitaturus, et id peregre secum tulerit, aut si quis equum gestandi gratia commodatum longius cum aliquo duxerit, quod veteres scripserunt de eo qui in aciem perduxisset. 197. Placuit tamen eos, qui rebus commodatis aliter uterentur quam utendas accepissent, ita furtum committere, si intellegant, id se invito domino facere eumque, si intellexisset, non permissurum; at si permissurum credant, extra furti crimen videri, optima sane distinctione, quod furtum sine dolo malo non committitur.

52“Se uno ha ricevuto una cosa per un uso e la destina ad altro uso, è tenuto per furto: ad esempio se un soggetto ha ricevuto in uso dell’argento come se dovesse invitare a cena degli amici e l’abbia portato con sé all’estero, o se un cavallo che gli era stato comodato per andare a passeggio l’abbia condotto in qualche luogo lontano, ciò che i veteres scrissero di colui che l’aveva condotto in battaglia”.

53Secondo Gaio non c’è furto senza l’intenzione delittuosa: il comodatario che si serve della cosa diversamente da quanto convenuto commette furto, se sa di essere contro la volontà del comodante, o se sa che egli non avrebbe autorizzato tale uso se glielo avesse domandato; ma se il comodatario ritiene che tale uso gli è stato permesso, non c’è delitto di furto86. Tale distinzione è fondamentale in quanto non c’è furto senza l’intenzione delittuosa, ‘furtum sine dolo non committitur’.

54In dottrina si ritiene che se il comodatario fa della cosa, dolosamente, un uso difforme da quello concordato commette furto (furtum usus) e contro di lui il comodante può esperire cumulativamente l’actio commodati e l’actio furti87.

55Arrivando poi al pensiero di Paolo rilevano due testi, il primo del Digesto e il secondo delle Pauli Sententiae:

56D. 47,2,40 (Paul. 9 ad Sab.): Qui iumenta sibi commodata longius duxerit alienave re invito domino usus sit, furtum facit.
57Paul. Sent. 2,4,3: Servus vel equus a latronibus vel in bello occisi, si in aliam causam commodati sunt, actio commodati datur: custodia enim et diligentia rei commodatae praestanda est.

58Nel primo passo si dice: “colui che fa andare più lontano una bestia da soma a lui comodata, o chi si serve della cosa altrui contro la volontà del proprietario, commette furto”.

59Assai più rilevante è il secondo frammento; «se uno schiavo o un cavallo siano stati uccisi da briganti o in guerra, quando erano stati dati in comodato per un altro scopo, viene data l’azione fondata sul comodato: va infatti prestata la custodia e la diligenza con riguardo alla cosa comodata»88.

60Secondo il Pastori, «la responsabilità per diligentia viene qui accostata alla responsabilità per custodia»89. Anche se la critica interpolazionistica ha considerato non classico il richiamo alla diligentia, ciò non pare possibile in quanto se la custodia fosse l’unico criterio di responsabilità del comodatario non si spiegherebbe come mai la diligentia sia stata aggiunta invece che sostituita a custodia90. Ciò che emerge da questa prima lettura è che la custodia e la diligentia si presentano come “due figure distinte di responsabilità”91.

61Da quanto detto, sembra che la nozione di diligentia abbia fatto, come avremo modo di vedere meglio in seguito, la sua apparizione fin dall’epoca classica accanto alla custodia come “elemento di specificazione e di integrazione” del relativo concetto e forse anche in qualche caso come “criterio di valutazione della responsabilità dell’obbligato”92.

62Arrivando infine a Giustiniano, emerge la volontà di ribadire il pensiero di Quinto Mucio e di Gaio in materia di furtum usus:

63I. 4,1,6: Furtum autem fit non solum, cum quis intercipiendi causa rem alienam amovet, sed generaliter cum quis alienam rem invito domino contractat. itaque sive creditor pignore sive is apud quem res deposita est ea re utatur sive is qui rem utendam accepit in alium usum eam transferat, quam cuius gratia ei data est, furtum committit. veluti si quis argentum utendum acceperit quasi amicos ad cenam invitaturus et id peregre secum tulerit, aut si quis equum gestandi causa commodatum sibi longius aliquo duxerit, quod veteres scripserunt de eo, qui in aciem equum perduxisset. 7. Placuit tamen eos, qui rebus commodatis aliter uterentur, quam utendas acceperint, ita furtum committere, si se intellegant id invito domino facere eumque si intellexisset non permissurum, ac si permissurum credant, extra crimen videri: optima sane distinctione, quia furtum sine affectu furandi non committitur.

64Il furto si verifica, non soltanto quando uno rimuove la cosa altrui per sottrarla, ma in genere quando uno si appropria della cosa altrui contro il volere del proprietario. Pertanto, se il comodatario destini la cosa comodatagli ad uso diverso da quello per cui gli era stata data, commette furto.

65Giustiniano ribadisce, seguendo il pensiero della giurisprudenza precedente, che coloro che si servissero delle cose avute in comodato in modo diverso da quello per cui le avevano ricevute in uso, commettono furto, se si rendono conto che quel che fanno lo fanno contro il volere del proprietario, e che se lui lo sapesse, non lo permetterebbe; mentre se reputino che lo permetterebbe, sono da considerare esenti da delitto. Tale distinzione è assai rilevante, in quanto il furto non si commette senza l’intenzione di rubare.

66Da quanto detto emerge che il problema della responsabilità per uso diverso della cosa rispetto a quanto pattuito sia rimasto pressoché invariato dai tempi di Quinto Mucio fino a Giustiniano, prevedendo come criteri il dolo per l’actio furti e la culpa per l’actio commodati.

4. La responsabilità per deterioramento

67Il comodatario deve restituire la cosa in specie e nella sua individualità, di conseguenza egli deve conservare la cosa durante il periodo del comodato93. Il comodatario deve servirsi della cosa in modo da non incidere sulla sua sostanza94. Dalle fonti emerge infatti l’esistenza di un dovere da parte del comodatario di restituire il bene comodato in buono stato95.

68In proposito degno di interesse è il seguente passo di Pomponio, la cui paternità muciana è fuori discussione96:

69D. 13,6,23 (Pomp. 21 ad Quint. Muc.): Si commodavero tibi equum, quo utereris usque ad certum locum, si nulla culpa tua interveniente in ipso itinere deterior equus factus sit, non teneris commodati: nam ego in culpa ero, qui in tam longum iter commodavi, qui eum laborem sustinere non potuit.

70Secondo il giurista, se un proprietario avesse dato a comodato un cavallo perché il comodatario se ne servisse per raggiungere una certa località prestabilita e nel viaggio il cavallo subisse un deterioramento, il comodatario non sarà soggetto all’azione di comodato; perciò l’evento dannoso sarebbe imputabile alla colpa del comodante che diede a comodato un cavallo per un percorso più lungo di quello che lo stesso potesse sostenere97. Viceversa, se il comodatario costrinse il cavallo a un viaggio più lungo, allora egli sarà responsabile, in quanto egli non si era attenuto all’uso convenuto della cosa98.

71Pomponio è del parere che il comodatario di un cavallo non sia responsabile del deterioramento dell’animale se il comodante ha dato il cavallo per lo scopo cui poi il comodatario l’ha adibito, non potendogli attribuire alcuna colpa99. Pertanto, quando un comodante metteva a disposizione di un comodatario un cavallo appositamente destinato a una cavalcata, allora doveva prima verificarne le capacità; tale fattispecie realizza un caso di concorso di colpa sconosciuto ai giuristi precedentemente100.

72Un altro aspetto è bene mettere in luce. Come è stato giustamente evidenziato dalla Berndt101, la responsabilità per colpa si è sviluppata per la prima volta grazie alla lex Aquilia e solo successivamente è passata ad altri ambiti del diritto. Applicata al comodato, la responsabilità per colpa non si riferiva soltanto alla restituzione della cosa integra, ma comprendeva ogni danneggiamento colposo della cosa102.

73Il comodatario si doveva mantenere nei limiti che gli poneva l’accordo o che derivavano dallo specifico carattere delle mansioni prestabilite. Egli quindi doveva preservare la cosa consegnatagli per restituirla nelle stesse condizioni in cui gli era stata data103:

74D. 13,6,3,1 (Ulp. 28 ad ed.): Si reddita quidem sit res commodata, sed deterior reddita, non videbitur reddita, quae deterior facta redditur, nisi quid interest praestetur: proprie enim dicitur res non reddita, quae deterior redditur.

75“Se la cosa comodata viene restituita in uno stato peggiore, non si considera propriamente restituita, a meno che non si risarcisca il danno”.

76Dunque l’inadempimento si realizzava nel caso di cosa resa colposamente deterior, tale da non poter essere considerata reddita104. Di conseguenza la diminuzione di valore a seguito di danneggiamento poteva costituire oggetto anche esclusivo dell’azione contrattuale105.

77Solo nell’ultima opera ulpianea ritroviamo nuovamente trattato il tema della responsabilità per deterioramento; nel frammento Ulpiano chiarisce che il comodatario è responsabile per il deterioramento colpevole della cosa106:

78D. 13,6,10 pr. (Ulp. 29 ad Sab.): Eum, qui rem commodatam accepit, si in eam rem usus est in quam accepit, nihil praestare, si eam in nulla parte culpa sua deteriorem fecit, verum est: nam si culpa eius fecit deteriorem, tenebitur.

79“Colui che ha ricevuto una cosa in comodato, se abbia fatto della cosa l’uso per il quale l’ha ricevuta, non dovrà prestare nulla se l’abbia deteriorata in qualche misura non per sua colpa; ma se la cosa fu deteriorata per sua colpa, egli sarà responsabile”107.

80Nel frammento Ulpiano chiarisce che è solo il deterioramento colpevole della cosa prestata a rendere responsabili108. Fintanto che il comodatario si attiene agli accordi contrattuali e utilizza la cosa prestata solo per lo scopo concordato, per Ulpiano non interviene una responsabilità del comodatario109.

5. La responsabilità per mancata restituzione o perimento della cosa: periodo preclassico

81Quinto Mucio non si occupò solo dei rapporti tra comodato e furto, ma superò tali confini110, in quanto a quel tempo il problema della responsabilità del comodatario per mancata restituzione della cosa data in comodato aveva già assunto un’autonoma rilevanza111.

82D. 13,6,5,3 (Ulp. 28 ad ed.): Commodatum autem plerumque solam utilitatem continet eius cui commodatur, et ideo verior est Quinti Mucii sententia existimantis et culpam praestandam et diligentiam et, si forte res aestimata data sit, omne periculum praestandum ab eo, qui aestimationem se praestaturum recepit.

83Ulpiano sta commentando la formula dell’actio commodati112, ritenendo che il praestare del comodatario debba essere valutato secondo l’utilitas113. Per il giurista, poiché il comodato riguarda ordinariamente il vantaggio soltanto del comodatario, è condivisibile l’opinione di Quinto Mucio, il quale, rispecchiando la concezione dei veteres114, ritiene che il comodatario sia responsabile per culpa che si estende alla mancanza di diligentia115.

84Tre aspetti emergono dalla lettura del testo: in primo luogo la regola dell’utilitas non ha alcun senso se non si ammettono diversi gradi di responsabilità116; in secondo luogo il comodato costituiva il caso paradigmatico di utilità visto tutta dalla parte del debitore; e infine la misura di responsabilità del comodatario si doveva adeguare al massimo di severità consentito dal sistema117.

85Secondo la Berndt118, la culpa nel periodo preclassico si presentava quando non erano state prese tutte le misure preventive per il mantenimento della cosa, nonostante una persona avveduta le avesse potute adottare.

86Tuttavia, accanto al concetto di culpa, Quinto Mucio impiega anche il concetto di diligentia119. Quindi il binomio culpa-diligentia sembra risalire a Quinto Mucio. In questo binomio il termine diligentia agisce come elemento specificatore e condiziona il significato del termine culpa120, nel senso che più aumenta il grado di diligenza più si estende la culpa. Quindi da un lato avremo la conseguenza di un giudizio negativo del comportamento tenuto (culpa) e dall’altra un aspetto positivo della condotta dell’agente conforme al modello dell’uomo diligens121. Poiché il comodatario era obbligato a prendere tutte le possibili precauzioni per la conservazione della cosa, era pure tenuto a sorvegliare accuratamente la cosa ricevuta in prestito122.

87Sulla base di quanto detto Ulp. D. 13,6,5,3 può costituire la prova del fatto che nel periodo preclassico nei “rapporti altruistici” di aiuto tra persone fosse dovuta la piena diligenza123.

88Dai passi visti possiamo concludere che con Quinto Mucio “le direttive fondamentali della responsabilità contrattuale” del comodatario per mancata restituzione erano definitivamente delineate124 attraverso il criterio guida della responsabilità per culpa o per mancanza di diligentia125; da ciò emerge che il comodato aveva ottenuto già una tutela giuridica ai tempi di Quinto Mucio126.

89Un importante passo di Ulpiano richiama genericamente il pensiero dei veteres:

90D. 13,6,5,6 (Ulp. 28 ad ed.): Sed an etiam hominis commodati custodia praestetur, apud veteres dubitatum est. nam interdum et hominis custodia praestanda est, si vinctus commodatus est, vel eius aetatis, ut custodia indigeret: certe si hoc actum est, ut custodiam is qui rogavit praestet, dicendum erit praestare.

91Interessante è l’esordio del passo in cui si enuncia che i veteres avevano dubitato se il comodatario avesse l’obbligo di custodire il servo comodato127.

92Dal frammento emerge un nuovo criterio: i veteres già discutevano se fosse responsabile per custodia il comodatario, ove il contratto avesse avuto a oggetto degli schiavi e il problema veniva risolto nel senso che non sempre al comodatario si dovesse addossare tale responsabilità128. Per esempio non poteva imputarsi al comodatario la fuga dello schiavo che non aveva la tendenza a fuggire; ma se il negozio avesse avuto a oggetto uno schiavo viziato in tal senso, certo il non averlo sorvegliato con particolare attenzione sarebbe rientrato nell’ambito della responsabilità per custodia.

93Dall’esegesi del passo emergerebbe che la responsabilità per custodia fosse ammessa in situazioni particolari: ad esempio quando uno schiavo «fosse stato consegnato legato, oppure per l’età avesse richiesto una vigilanza particolarmente attenta»129.

94Da quanto detto emerge che in origine, ai tempi dei veteres, la responsabilità per custodia costituiva un criterio residuale che si prospettava solo in ipotesi specifiche.

6. (Segue): periodo classico

95Il commodatum nel periodo classico non era visto ancora come un contratto reale, e ciò si rifletteva nel contesto della responsabilità130.

96Labeone si occupa dell’argomento e ritiene che il periculum del perimento della cosa comodata si realizza solo in determinate ipotesi:

97D. 13,6,5,14 (Ulp. 28 ad ed.): Si de me petisses, ut triclinium tibi sternerem et argentum ad ministerium praeberem, et fecero, deinde petisses, ut idem sequenti die facerem et cum commode argentum domi referre non possem, ibi hoc reliquero et perierit: qua actione agi possit et cuius esset periculum? Labeo de periculo scripsit multum interesse, custodem posui an non: si posui, ad me periculum spectare, si minus, ad eum penes quem relictum est. ego puto commodati quidem agendum, verum custodiam eum praestare debere, penes quem res relictae sunt, nisi aliud nominatim convenit.

98Un soggetto chiede a un altro tutto l’occorrente per apparecchiare un triclinium, tra cui l’argenteria. Al fornitore viene proposto di svolgere anche per il giorno successivo lo stesso servizio. Il comodante decide di lasciare l’argenteria al comodatario, ma nella notte essa perisce.

99La quaestio iuris è quale azione può essere esercitata dal fornitore dell’argenteria e a chi spetta il periculum del perimento. Labeone distribuisce il periculum a seconda che il fornitore abbia o meno posto un custode a sorveglianza dell’argenteria.

100Ulpiano invece, abbracciando un’impostazione successiva, ritiene che il fornitore debba agire con l’actio commodati e che il comodatario debba custodiam praestare131. Qui custodiam praestare132 è posta in relazione al periculum, richiamando quella responsabilità oggettiva133 che Gaio, come vedremo, riconnette al comodatario134: il comodatario deve sopportare il periculum della cosa affidatagli135.

101Anche Cartilio, giurista del periodo augusteo, si è occasionalmente occupato di responsabilità del comodatario:

102D. 13,6,5,13 (Ulp. 28 ad ed.): Si me rogaveris, ut servum tibi cum lance commodarem et servus lancem perdiderit, Cartilius ait periculum ad te respicere, nam et lancem videri commodatam: quare culpam in eam quoque praestandam. plane si servus cum ea fugerit, eum qui commodatum accepit non teneri, nisi fugae praestitit culpam.

103L’ipotesi è quella di un servo dato in comodato con un piatto di servizio (servus cum lance)136 cui segua la perdita del piatto prezioso affidato allo schiavo che fu comodato a un amico del dominus. Cartilio riteneva che il rischio della perdita (periculum) del vassoio dovesse essere imputato al comodatario137, perché anche il piatto era stato comodato, e perciò egli era responsabile per colpa anche riguardo al piatto.

104Nella seconda parte del passo si fa l’ipotesi che lo schiavo sia fuggito col vassoio prezioso. L’evento si configura come imprevedibile e pertanto il comodatario non risultava responsabile, sempre che non si potesse imputare ciò alla di lui colpa138.

105Dai passi visti emerge pertanto come nel periodo augusteo emerga un nuovo criterio di responsabilità del comodatario, quello della custodia139.

106Arrivando a Gaio, questi non tratta ex professo, nelle Istituzioni, del comodato, al punto che non lo menziona là dove parla delle obligationes re contractae140. Tuttavia in altri luoghi si occupa dell’oggetto del comodato141.

107Più significativo è invece un passo di Gaio proveniente dai libri ad edictum provinciale, opera probabilmente redatta nel periodo postclassico, ma con materiale gaiano142 che tratta della responsabilità del comodatario. Relativamente a tale testo non ci sono dubbi sulla sua fondamentale classicità143:

108D. 13,6,18 pr. (Gai. 9 ad ed. prov.)144: In rebus commodatis talis diligentia praestanda est, qualem quisque diligentissimus pater familias suis rebus adhibet, ita ut tantum eos casus non praestet, quibus resisti non possit, veluti mortes servorum quae sine dolo et culpa eius accidunt, latronum hostiumve incursus, piratarum insidias, naufragium, incendium, fugas servorum qui custodiri non solent. quod autem de latronibus et piratis et naufragio diximus, ita scilicet accipiemus, si in hoc commodata sit alicui res, ut eam rem peregre secum ferat: alioquin si cui ideo argentum commodaverim, quod is amicos ad cenam invitaturum se diceret, et id peregre secum portaverit, sine ulla dubitatione etiam piratarum et latronum et naufragii casum praestare debet. haec ita, si dumtaxat accipientis gratia commodata sit res, at si utriusque, veluti si communem amicum ad cenam invitaverimus tuque eius rei curam suscepisses et ego tibi argentum commodaverim, scriptum quidem apud quosdam invenio, quasi dolum tantum praestare debeas: sed videndum est, ne et culpa praestanda sit, ut ita culpae fiat aestimatio, sicut in rebus [pignori] <fiduciae>145 datis et dotalibus aestimari solet.

109“Con riguardo alle cose ricevute in comodato si deve praestare la stessa diligentia che il più diligente pater familias adopererebbe nelle cose proprie”146.

110Tale affermazione generale trova subito una precisazione di natura negativa, rispetto ai limiti del praestare147: di conseguenza il comodatario non risponde unicamente dei casi ai quali non può opporsi resistenza, come la morte dei servi avvenuta senza dolo o colpa, l’incursione di rapinatori o di nemici, un agguato dei pirati, un naufragio, un incendio, la fuga di quei servi che non si è soliti sottomettere a una vigilanza particolare148.

111Tuttavia se qualcuno avesse comodato argenteria a un tale, affinchè potesse invitare i suoi amici a cena, ma poi questi avesse deciso di portarla con sé in viaggio149, non vi è dubbio che costui deve rispondere anche per il caso di pirateria, brigantaggio e naufragio150.

112Dal passo emerge che la fattispecie fondamentale «è quella di un prestito di stoviglie che il comodatario abbia portato con sé in viaggio, durante il quale gli sono state rubate: sembra evidente che egli debba rispondere di mancata restituzione»151. Secondo il Betti qui «viene in applicazione una distinzione, avanzata dal giurista stesso … fra il caso di forza maggiore, effettivamente indipendente da un contegno dell’obbligato, e il casus dolo seu culpa determinatus, che si ha per esempio quando l’oggetto da restituire sia stato esposto a pericolo di perimento o di danneggiamento mediante un comportamento del debitore trascurante i propri doveri: qui sarà imputato anche il casus»152.

113Tutto ciò avviene se la cosa è comodata solamente nell’interesse del comodatario; ma se fosse rinvenibile un reciproco interesse nella conclusione del contratto, si verifica una sorta di mitigazione153: come, per esempio, se due avendo invitato a cena un amico comune, uno assunse la cura d’allestire la cena e l’altro prestò l’argenteria, il primo è responsabile solo per dolo. Si può peraltro chiedersi se egli sia responsabile anche per colpa, come avviene per le cose date a fiducia o a titolo dotale. Se invece il comodato è concluso solo a profitto del comodante, il comodatario sarà responsabile solo per dolo154.

114Nella prima parte del testo il modello è precisato in quello del comportamento del diligentissimus pater familias rispetto alle sue proprie cose. In sostanza il comodante, prestando la sua cosa, deve poter fare affidamento sul fatto che essa cade in buone mani, che sarà trattata come presso di lui se non meglio155. A questo proposito rileva l’originale tesi della Berndt156 secondo la quale la responsabilità per colpa del comodatario comprenderebbe la responsabilità per custodia; questa sarebbe di conseguenza un elemento della responsabilità per diligentia. Così, sempre secondo l’autrice, il diligentissimus pater familias era colui che doveva sorvegliare gli schiavi, quando questi dovevano essere controllati157.

115Nel frammento «si tratta di distinguere la diligenza dovuta dal comodatario nel caso normale, in cui il negozio è volto ad esclusivo profitto, dalla diligentia quam in suis da prestarsi nei casi in cui il profitto è comune». Ciò risulta dal confronto con le res dotales158. Gaio fa notare che «non basta adibire circa la cosa commodata la cura stessa che si pone circa le cose proprie; occorre usare la premura stessa che per le cose proprie»159 suole avere un diligentissimus pater familias160, in modo tale che il comodatario sarà responsabile di tutti quegli eventi che non si possono impedire161.

116Gaio avverte che possono intervenire delle giuste cause per le quali si renda necessario che il comodatario agisca, in via autonoma, nei confronti del comodante162 e, dopo aver accennato all’esistenza di un rectum e di un contrarium iudicium, riconosce la compensatio ex eadem causa, lasciando intendere che ciò costituisce un bonae fidei iudicium163.

117La teoria gaiana sembra poi subire un’evoluzione, in quanto nelle Institutiones, nella trattazione della legittimazione all’actio furti, non si fa alcuna menzione di un contegno soggettivo da parte del comodatario164. Gaio infatti legittima il comodatario, cui sia stata rubata la cosa comodata, a esperire tale azione e perfeziona il concetto di “custodia in senso tecnico”, vale a dire intesa come responsabilità oggettiva165, «la quale prescinde dalla valutazione dell’elemento intenzionale e afferma l’esistenza del nesso di causalità tra il contegno del comodatario e la mancata restituzione»166. Gaio afferma dunque che il comodatario come il fullo e il sarcinator risponde per custodia167:

118Gai. 3,206168: Quae de fullone aut sarcinatore diximus, eadem transferemus et ad eum cui rem commodavimus. Nam ut illi mercedem capiendo custodiam praestant, ita hic quoque utendi commodum percipiendo similiter necesse habet custodiam praestare.

119L’autore, nel trattare della responsabilità in materia di locatio operis faciendi, afferma, che quel che è stato detto a proposito del lavandaio o del rammendatore, lo si può estendere anche a colui cui comodammo una cosa169; come quelli, infatti, ricevendo la mercede, rispondono della custodia, così anche il comodatario, ricevendo il vantaggio dell’uso (commodum utendi)170, è similmente in condizione di dover rispondere della custodia171. In sostanza il comodatario, percependo il vantaggio che nasce dall’uso della cosa prestatagli, si trova nella necessità di conservarla in vista della restituzione172. Qui la custodia sembra giustificata dall’utendi commodum percipiendo.

120Secondo il Pastori, «la posizione del lavandaio e del rammendatore è assimilata a quella del comodatario e si giustifica la responsabilità che essi incontrano nei riguardi del creditore ove perdano la disponibilità della cosa in conseguenza del furto, col fatto che i primi percepiscono una mercede, il secondo usufruisce dell’uso gratuito della cosa»173. Dal momento che essi traggono vantaggio dai rispettivi contratti, devono prestare un grado maggiore di responsabilità174.

121In particolare, se il comodatario ha perso la disponibilità della cosa in conseguenza del furto, egli ne risponde verso il creditore ed è tenuto a pagare l’equivalente della cosa non restituita175. Tale tipo di responsabilità si ritiene venga denominata custodiam praestare e non è soggetta a restrizioni, in modo che il comodatario è ritenuto responsabile indipendentemente dalle circostanze nelle quali il furto è avvenuto176. Tale tipo di responsabilità si giustifica nel «carattere di favore che è proprio del prestito d’uso gratuito»177. Custodia in senso tecnico sembra alludere «alla conservazione della cosa affidata e alla relativa obbligazione»; vale a dire «alla responsabilità in cui il debitore incorre in ordine a tale obbligazione»178, prescindendo da ogni valutazione sull’atteggiamento soggettivo del comodatario179.

122Da quanto detto si può dedurre che la responsabilità per custodia viene a configurarsi e a delinearsi compiutamente in Gaio180, nel contesto di un negozio in cui il fulcro del rapporto è costituito dall’obbligo di restituzione181.

123Circa i rapporti tra custodia e diligentia, Paolo afferma182:

124D. 18,6,3 (Paul. 5 ad Sab.): Custodiam autem venditor talem praestare debet, quam praestant hi quibus res commodata est, ut diligentiam praestet exactiorem, quam in suis rebus adhiberet.

125Secondo il giurista, il venditore è tenuto a custodiam praestare, allo stesso modo del comodatario; tale responsabilità ha come contenuto che il debitore diligentiam praestet, vale a dire «la responsabilità per diligentia è ricompresa nella responsabilità per custodia»183.

126Arriviamo finalmente a Ulpiano, a cui appartiene un’affermazione generale assai nota:

127D. 13,6,5,5 (Ulp. 28 ad ed.): Custodiam plane commodatae rei etiam diligentem debet praestare.

128Il testo ha subito gli assalti della critica, anche interpolazionistica184, malgrado la sua semplicità e la sua correttezza grammaticale185; nel passo si dice che il comodatario deve diligentemente186 custodire la cosa comodata187.

129In un altro testo viene enucleata tutta una gamma di possibili criteri che si estendono dal dolus alla culpa e alla exactissima diligentia:

130D. 13,6,5,2 (Ulp. 28 ad ed.): Nunc videndum est, quid veniat in commodati actione, utrum dolus an et culpa an vero et omne periculum. et quidem in contractibus interdum dolum solum, interdum et culpam praestamus: dolum in deposito: nam quia nulla utilitas eius versatur apud quem deponitur, merito dolus praestatur solus: nisi forte et merces accessit (tunc enim, ut est et constitutum, etiam culpa exhibetur) aut si hoc ab initio convenit, ut et culpam et periculum praestet is penes quem deponitur. sed ubi utriusque utilitas vertitur, ut in empto, ut in locato, ut in dote, ut in [pignore] <fiducia>, ut in societate, et dolus et culpa praestatur.

131Secondo Ulpiano, “si deve esaminare che cosa entri nell’actio commodati188, se il dolo soltanto ovvero anche la colpa, e se il comodatario sia responsabile anche d’ogni periculum”. Si è responsabili soltanto del dolo nel deposito, perché il depositario non ne trae alcuna utilità, qualora non abbia ricevuto alcun compenso; ma quando il negozio è ugualmente vantaggioso alle due parti che lo concludono, ciascuno è responsabile per dolo e anche per colpa.

132Questo passo mostra che nel comodato la responsabilità non doveva esser vista con criteri univoci: infatti il giurista doveva appunto esaminare quale fosse la responsabilità del comodatario189 nelle varie fattispecie190.

133Non era imputabile l’inadempimento dovuto a cause di forza maggiore, purché non le avesse provocate il comportamento colposo del debitore191:

134D. 13,6,5,4 (Ulp. 28 ad ed.): Quod vero senectute contigit vel morbo, vel vi latronum ereptum est, aut quid simile accidit, dicendum est nihil eorum esse imputandum ei qui commodatum accepit, nisi aliqua culpa interveniat. proinde et si incendio vel ruina aliquid contigit vel aliquid damnum fatale, non tenebitur, nisi forte, cum possit res commodatas salvas facere, suas praetulit.

135“Ciò che accadde per vecchiaia o malattia, ciò che fu tolto dai banditi, o altro simile evento, si deve dire non essere imputabile al comodatario, qualora non sia intervenuta qualche sua colpa. Quindi egli non sarà responsabile se la cosa perì per incendio, per rovina, o per qualsiasi damnum fatale, purché, potendo salvare le cose comodate, egli non abbia trascurato di farlo per salvare le proprie”. Il damnum fatale è dunque addotto come limite della responsabilità del comodatario192. Per damnum fatale si intende quell’avvenimento che capita all’improvviso anche a chi prenda precauzioni suggerite dall’ordinaria prudenza193. In questo caso il comodatario non è responsabile194.

136Assai significativo è poi il seguente passo di Ulpiano, il quale viene considerato il testo “guida” nel sistema della compilazione giustinianea195:

137D. 50,17,23 (Ulp. 20 ad ed.): Contractus quidam dolum malum dumtaxat recipiunt, quidam et dolum et culpam. dolum tantum: depositum et precarium. dolum et culpam mandatum, commodatum, venditum, pignori acceptum, locatum, item dotis datio, tutelae, negotia gesta: in his quidem et diligentiam. societas et rerum communio et dolum et culpam recipit. sed haec ita, nisi si quid nominatim convenit (vel plus vel minus) in singulis contractibus: nam hoc servabitur, quod initio convenit (legem enim contractus dedit), excepto eo, quod Celsus putat non valere, si convenerit, ne dolus praestetur: hoc enim bonae fidei iudicio contrarium est: et ita utimur. animalium vero casus mortesque, quae sine culpa accidunt, fugae servorum qui custodiri non solent, rapinae, tumultus, incendia, aquarum magnitudines, impetus praedonum a nullo praestantur.

138“Alcuni negozi ammettono solo il dolo, alcuni il dolo e la colpa. Solo il dolo, il deposito e il precario. Dolo e colpa il mandato, il comodato, la vendita, il pignus datum, la locazione, come pure la dotis datio, i vari casi di tutela e la gestione di affari: in questi è pure rilevante la diligentia196. La società, la comunione, riguardano il dolo e la colpa”; tutto ciò se nel concludere il singolo atto non si sia espressamente convenuto diversamente, tranne per il caso, che Celso ritiene invalido, del pactum de dolo non praestando: ciò è contrario a un bonae fidei iudicium197. Nessuno è responsabile per gli eventi e le morti che accadono senza colpa, le fughe dei servi che non sogliono essere custoditi, le rapine, i tumulti, gli incendi, le inondazioni e gli atti dei predoni198.

139Nel passo troviamo enunciati i criteri di imputazione di volta in volta applicabili199: esso elenca come criteri positivi di responsabilità il dolo, la colpa, la diligenza – indicato come criterio autonomo rispetto alla colpa – e, come criterio negativo, una casistica della forza maggiore200. Ciò pone due problemi: quello del preciso rapporto fra colpa e diligenza e quello dell’assenza, in questo caso difficilmente comprensibile, di ogni allusione alla custodia201.

140Arrivando all’ultimo giurista classico, Modestino, questi dedica un titolo speciale della sua opera alle differenze tra il comodato e il deposito:

141Coll. 10,2,1 (Mod. 2 diff. sub tit. de dep. vel comm.): Commodati iudicio conventus et culpam praestare cogitur: qui vero depositi convenitur, de dolo, non etiam de culpa condemnandus est. Commodati enim contractu, quia utriusque contrahentis utilitas intervenit, utrumque praestatur: in depositi vero causa sola deponentis utilitas vertitur et ibi dolus tantum praestatur.
142Coll. 10,2,4 (Mod. 2 diff. sub tit. de dep. vel comm.): Depositi damnatus infamis est: qui vero commodati damnatur, non fit infamis: alter enim propter dolum, alter propter culpam condemnatur.

143«Il convenuto in un processo di comodato deve rispondere anche per colpa; chi invece sia convenuto in un processo di deposito deve essere condannato in base al dolo, non anche alla colpa»202.

144Come nel comodato così anche in altri negozi si osserva la regola che il debitore è responsabile tutte le volte che l’inadempimento dipenda sia da dolo che da colpa, perché si tratta di negozi nei quali entrambe le parti traggono un vantaggio. In sostanza il giurista pone in evidenza il tendenziale adeguamento della misura di responsabilità al quantum di utilità che il rapporto presentava per l’obbligato203.

145Nel contratto di comodato dunque si deduce il dolo e la colpa, mentre tale principio non si applica al deposito, dove la responsabilità del depositario non va mai oltre il dolo; ciò dipende dal fatto che il depositario non trae alcun vantaggio dal contratto di deposito. Viceversa, come è noto, tanto il comodatario quanto il fiduciario, essendo tutti debitori che traggono un vantaggio dal negozio, rispondono entro un limite più ampio, che è quello della culpa.

146Come si sa, Modestino non aveva ideato per primo la responsabilità per colpa che invece la giurisprudenza aveva già ampiamente trattato204: nel testo, egli, ricalcando probabilmente quanto afferma Gaio in D. 13,6,18 pr.205, aveva preso le mosse dal diverso grado di responsabilità nell’azione diretta nel deposito e in quella di comodato, fondando le ragioni della differenza sul fatto che nel primo l’utilità è solo del deponente, nel comodato è invece di entrambi206. Se solo una delle parti ha un vantaggio la responsabilità sarà per dolo; invece, in caso di interesse di entrambe le parti, la responsabilità sarà per colpa207.

147Come ha messo in luce il Pastori208, «qui la menzione della colpa non si accompagna a nessuna gradazione» e prende il posto della diligentia, riscontrata nelle Sentenze di Paolo209.

7. (Segue): periodo postclassico e giustinianeo

148Un’inasprimento di responsabilità è previsto in una costituzione di Diocleziano, che tuttavia non può incidere sul regime generale di responsabilità, trattandosi dell’assunzione del periculum amissionis e della fortuna futuri damni210:

149C. 4,23,1 (a. 290/293): Ea quidem, quae vi maiore auferuntur, detrimento eorum quibus res commodantur imputari non solent. sed cum is, qui a te commodari sibi bovem postulabat, hostilis incursionis contemplatione periculum amissionis ac fortunam futuri damni in se suscepisse proponatur, praeses provinciae, si probaveris eum indemnitatem tibi promisisse, placitum conventionis implere eum compellet.

150“Il danno cagionato da eventi di forza maggiore non è per verità imputabile ordinariamente al comodatario”. Tuttavia, se un soggetto domandò a prestito un bue e contemporaneamente convenne di assumersi il rischio della perdita e del danno determinatisi per la minaccia di una prossima incursione nemica, il preside della provincia lo costringerà ad adempiere alla convenzione.

151Da quanto detto possiamo concludere che nel corso dell’età dei Severi il comodato aveva raggiunto “un assetto definitivo”, che non subirà più rilevanti modifiche in età-postclassica e giustinianea211.

152Le considerazioni finora svolte provano, come si è già accennato, che “le innovazioni postclassiche” non sono determinanti212. In ogni caso, la colpa sulla quale si fonda la responsabilità del comodatario è valutata severamente: è sufficiente che egli abbia commesso una colpa molto leggera.

153Il debitore da cui si attende la diligentia, deve astenersi da tutti gli atti che possono ostacolare la buona esecuzione del contratto, ma deve anche compiere gli atti che ne assicurano l’esecuzione: se non lo fa, commette una negligentia che è una colpa di omissione213.

154A questo proposito, fondamentale è un passo tratto dagli aurea o res cottidianae che sono una rielaborazione delle Istituzioni di Gaio confezionate da un intelligente rielaboratore epiclassico verso la fine del III secolo e cioè ai tempi dell’imperatore Diocleziano.

155Secondo l’ignoto autore di questa riedizione postgaiana214, che creò la nozione moderna di contratto reale215, il comodato esige la restituzione della cosa che è stata comodata, infatti l’obbligazione fondamentale del comodatario è quella di restituire la detenzione della cosa al termine stabilito dalle parti216. Dunque colui al quale si dà a comodato qualcosa, rimane obbligato in forza della res ed egli è tenuto a restituire la cosa medesima che ha ricevuto. Quindi «l’obbligo di restituire la stessa cosa è sottolineata come elemento essenziale del contratto» di comodato217:

156D. 44,7,1,4 (Gai. 2 aur.): Et ille quidem qui mutuum accepit, si quolibet casu quod accepit amiserit, nihilo minus obligatus permanet: is vero qui utendum accepit, si maiore casu, cui humana infirmitas resistere non potest, veluti incendio ruina naufragio, rem quam accepit amiserit, securus est. alias tamen exactissimam diligentiam custodiendae rei praestare compellitur, nec sufficit ei eandem diligentiam adhibere, quam suis rebus adhibet, si alius diligentior custodire poterit. sed et in maioribus casibus, si culpa eius interveniat, tenetur, veluti si quasi amicos ad cenam invitaturus argentum, quod in eam rem utendum acceperit, per egre proficiscens secum portare voluerit et id aut naufragio aut praedonum hostiumve incursu amiserit.

157L’autore distingue chiaramente tra comodato e mutuo: nel primo, l’obbligo di restituire la stessa cosa costituisce elemento essenziale del contratto, mentre nel caso del mutuo deve essere restituita un’altra cosa dello stesso genere e qualità218.

158Pertanto colui che ha ricevuto un mutuo, in qualunque caso abbia perduto la cosa ricevuta, rimane tuttavia obbligato: mentre colui che ha ricevuto in uso una cosa è esente da responsabilità se ha perduto la cosa per forza maggiore, cioè uno di quegli eventi che l’uomo non può contrastare, come un incendio, un crollo, un naufragio. Altrimenti è costretto a prestare la più rigorosa diligenza (exactissima diligentia) nel custodire la cosa219.

159Secondo il giurista, non basta che egli abbia adoperato quella stessa diligenza che egli impiega nelle cose proprie, se un altro più diligente di lui avrebbe potuto meglio custodire220. Ed egli è tenuto anche per i casi di forza maggiore se intervenne colpa, come nel caso in cui, mettendosi in viaggio, abbia voluto portare con sé dell’argenteria che aveva ricevuto in uso per impiegarla in una cena con amici e l’abbia invece perduta in seguito a naufragio, o aggressione di briganti o nemici221.

160Dalle Istituzioni di Gaio alle res cottidianae c’è un cambiamento222. Si passa da una responsabilità oggettiva ad una responsabilità soggettiva, che si estrinseca in tutti quei diversi gradi di diligenza, che alle Istituzioni sono estranei223.

161Posto che il comodatario ha l’obbligo di conservare la cosa affidatagli, si dice che nell’adempimento di tale obbligazione egli deve usare una particolare diligentia, ossia diligentia exactissima224, vale a dire una responsabilità di tipo soggettivo fondata su una misura molto elevata di diligenza, nella quale la menzione della custodia non ricorre in senso tecnico, ma solo rappresenta il punto di riferimento e l’oggetto della responsabilità per diligentia225. «La diligentia è, dunque, la figura di responsabilità qui addossata al commodatario e custodia rei è solo un riferimento all’obbligo che sul terreno sostanziale il comodatario incontra circa la conservazione della cosa»226.

162È dunque chiaro che l’exactissima diligentia custodiendae rei non è la stessa cosa del custodiam praestare di Gaio e degli altri giuristi classici, ma «un criterio di valutazione di un debito di diligenza, exactissima per di più, nell’adempimento di un’obbligazione di custodire»227.

163I giuristi del basso impero e più ancora la compilazione di Giustiniano hanno fatto trionfare una concezione soggettiva della responsabilità contrattuale228. Questa concezione dona come fondamento a tutta la responsabilità un elemento morale, un certo stato d’animo del debitore, considerato come responsabile229. Il termine diligentia viene introdotto nei testi accanto alle parole custodia, per chiarire, ma anche per sostituirsi alla custodia230.

164Infine Giustiniano menziona espressamente il comodato e lo inserisce tra i contratti reali; in questa parte le Istituzioni di Giustiniano ricalcano notevolmente le Res cottidianae:

165I. 3,14,2: Item is cui res aliqua utenda datur, id est commodatur, re obligatur et tenetur commodati actione. sed is ab eo qui mutuum accepit longe distat: namque non ita res datur, ut eius fiat, et ob id de ea re ipsa restituenda tenetur. et is quidem qui mutuum accepit, si quolibet fortuito casu quod accepit amiserit, veluti incendio ruina naufragio aut latronum hostiumve incursu, nihilo minus obligatus permanet. at is qui utendum accepit sane quidem exactam diligentiam custodiendae rei praestare iubetur nec sufficit ei tantam diligentiam adhibuisse, quantam suis rebus adhibere solitus est, si modo alius diligentior poterit eam rem custodire: sed propter maiorem vim maioresve casus non tenetur, si modo non huius culpa is casus intervenerit: alioquin si id quod tibi commodatum est peregre ferre tecum malueris et vel incursu hostium praedonumve vel naufragio amiseris, dubium non est, quin de restituenda ea re tenearis. commodata autem res tunc proprie intellegitur, si nulla mercede accepta vel constituta res tibi utenda data est. alioquin mercede interveniente locatus tibi usus rei videtur: gratuitum enim debet esse commodatum.

166“Pure colui al quale si dà in uso, cioè si dà in comodato qualcosa, è obbligato re ed è tenuto per l’azione di comodato. Ma la sua posizione è molto diversa da quella di chi ricevette il mutuo: in quanto la cosa non gli è data perché diventi di sua proprietà, e quindi è tenuto alla restituzione della cosa stessa. Ora colui che ricevette un mutuo, se per un qualunque caso fortuito, come incendio, rovina, naufragio, incursione di ladroni o di nemici, abbia perso quello che aveva ricevuto, rimane ciò non di meno obbligato.

167Viceversa, colui che ricevette in uso è tenuto bensì a prestare una perfetta diligenza nel custodire la cosa, e non basta che abbia impiegato la medesima diligenza che è solito adibire nelle cose sue, se un altro avrebbe potuto custodire la cosa più diligentemente (diligentior); tuttavia per i casi di forza maggiore o gli eventi più gravi non è tenuto, a meno che l’evento non sia prodotto per sua colpa. Per esempio, se tu abbia preferito portare con te all’estero la cosa comodata e per incursione di nemici o predoni o per naufragio tu l’abbia perduta, non c’è dubbio che sei obbligato a restituirla”.

168La diligentia richiesta al comodatario è una ‘exacta diligentia custodiendae rei’ ed «è solo un riferimento all’obbligo che sul terreno sostanziale il comodatario incontra circa la conservazione della cosa»231. Giustiniano inquadra la responsabilità del comodatario nell’ambito della diligentia e imputa a quello una diligenza scrupolosissima232.

169L’opera dei giustinianei si limitò pertanto a unificare, sotto il comune denominatore della exacta diligentia custodiendae rei, i due criteri della custodia e della culpa, senza peraltro che possa ascriversi a loro l’introduzione della responsabilità per colpa233. Di conseguenza i giustinianei hanno inteso il termine diligentior in senso assoluto e astratto234. Ne deriverebbe che nel diritto della Compilazione, accanto alle due forme di diligentia (la diligentia diligentis e la diligentia quam in suis) ci sarebbe da individuarne una terza, la quale assomava i vantaggi delle altre due235.

170Nelle Istituzioni si specifica che in tema di comodato l’impiego della diligentia quam in suis non sarebbe stato sufficiente a liberare l’obbligato si alius diligentior custodire poterit236. Come ha messo bene in evidenza il De Robertis237 il termine diligentior va inteso in modo assoluto, «quasi che stia lì a significare che nei rapporti in questione il debitore era tenuto nei limiti della diligentia quam in suis, ma purché non fosse trascorso al di qua del limite della tolleranza … rappresentato dalla diligentia diligentis: il che vale quanto dire che in questi rapporti al debitore era imposto di esprimere tutta la diligenza di cui era capace, senza peraltro che gli fosse dato di scagionarsi adducendo la propria insipienza o incapacità naturale: la negligentia, in altri termini, rebus suis consueta».

171Di conseguenza l’exactissima diligentia è un criterio di valutazione composito risultante dalla concorrenza di altri due criteri: la diligentia diligentis e la diligentia quam in suis238. Essa ebbe un ruolo di fondamentale importanza nella compilazione giustinianea, aprendo al legislatore la possibilità di attuare “un inasprimento della responsabilità”, ove fosse necessario239.

8. Limitazioni (solo al dolo) o estensioni (caso fortuito e forza maggiore) contrattuali della responsabilità

172Secondo Ulpiano, in assenza di culpa il comodatario non risponde, a meno che egli non abbia convenzionalmente assunto omne periculum240, come nell’ipotesi della res aestimata241:

173D. 13,6,5,3 (Ulp. 28 ad ed.): Commodatum autem plerumque solam utilitatem continet eius cui commodatur, et ideo verior est Quinti Mucii sententia existimantis et culpam praestandam et diligentiam et, si forte res aestimata data sit, omne periculum praestandum ab eo, qui aestimationem se praestaturum recepit.

174«Al debitore quindi non andava imputato automaticamente il danno per il semplice fatto del mancato adempimento, ma solo in quanto quest’ultimo fosse dipeso da un fatto a lui imputabile secondo i criteri stabiliti per ogni singolo rapporto dall’ordinamento giuridico»242. Pertanto «il comodatario, garantendo l’aestimatio rei commodatae, è obbligato alternativamente a restituire la cosa avuta in prestito o a pagare la somma di denaro, trovandosi a rispondere in modo assoluto del perimento della cosa comodata, in quanto, avvenuto il perimento, la sua obbligazione si concentrerebbe sulla prestazione pecuniaria»243.

175Il praestare omne periculo va congiunto quindi alla rei aestimatio; la cosa viene stimata per il suo valore e il comodatario si obbliga a restituire la res o la sua aestimatio. La semplice aestimatio costituisce la base per il calcolo del risarcimento nell’ipotesi che la cosa si deteriori o perisca al di là della colpa del comodatario244. Infatti se il reddere abbia a oggetto la aestimatio della res commodata, si potrà ricondurre il rapporto alla fattispecie del mutuo, in cui il trasferimento della proprietà delle cose fungibili giustifica la sopportazione di omne periculum245. Il parere di Quinto Mucio presuppone la non peribilità della pecunia, che «come oggetto di un obbligo alternativo alla restituzione, verrebbe qui considerata come un genus illimitato»246.

176Il dualismo culpa-periculum richiama nel primo elemento tutti i criteri soggettivi di imputazione, mentre nel secondo “la possibilità di assunzione convenzionale” del rischio247.

177La responsabilità del comodatario può essere accresciuta mediante pactum; infatti nulla vieta al comodatario di assumersi il rischio del caso fortuito248:

178D. 13,6,21,1 (Afr. 8 quaest.): In exercitu contubernalibus vasa utenda communi periculo dedi ac deinde meus servus subreptis his ad hostes profugit et postea sine vasis receptus est. habiturum me commodati actionem cum contubernalibus constat pro cuiusque parte: sed et illi mecum furti servi nomine agere possunt, quando et noxa caput sequitur. et si tibi rem periculo tuo utendam commodavero eaque a servo meo subripiatur, agere mecum furti possis servi nomine.

179Secondo Africano, durante il servizio militare un soggetto ha dato alcuni vasi a dei commilitoni da usare a rischio e pericolo comune. Quindi il servo del comodante, dopo averli sottratti, è fuggito presso i nemici e poi è ritornato ma senza i vasi. Il comodante aveva l’azione di comodato nei confronti dei commilitoni; ma costoro altresì potevano a loro volta agire nei confronti del comodante con l’actio furti. Secondo Africano, se si diede a comodato una cosa per servirsene a pericolo del comodatario, e quella cosa venne tolta dal servo del comodante, il comodatario potrà a nome di quel servo intentare contro il comodante l’actio furti.

180Alcune deroghe possono essere apportate al regime normale di responsabilità, da una diversa convenzione delle parti. È ammesso che una convenzione possa intervenire tra le parti per prevedere la responsabilità del comodatario per dolo; di conseguenza egli sarà responsabile entro tale limite, se la convenzione sia espressa249:

181D. 13,6,5,10 (Ulp. 28 ad ed.): Interdum plane dolum solum in re commodata qui rogavit praestabit, ut puta si quis ita convenit: vel si sua dumtaxat causa commodavit, sponsae forte suae vel uxori, quo honestius culta ad se deduceretur, vel si quis ludos edens praetor scaenicis commodavit, vel ipsi praetori quis ultro commodavit.

182Le fattispecie avanzate nel testo chiariscono come talvolta possa accadere che la responsabilità del comodatario sia limitata al solo comportamento volontario lesivo degli interessi del comodante250, vale a dire al dolo251. Ciò si verifica ogni volta in cui il prestito sia stato effettuato nell’interesse esclusivo del comodante: per esempio se si sia accordato in tal senso; oppure se il comodante abbia fatto un prestito alla sua fidanzata o a sua moglie, per migliorare la condizione di questa, o se un pretore abbia prestato alla compagnia filodrammatica i propri mobili per rendere più decorosa la scena, o se qualcuno si sia spontaneamente spogliato dei propri mobili per meglio mettere in scena quella data rappresentazione252.

183Concludendo, «in tutti questi casi il concorso di interessi o l’esclusivo interesse del comodante rende ragione dell’attenuazione della responsabilità di cui si giova il comodatario, il quale è tenuto a rispondere della mancata restituzione nei soli limiti del dolo»253. Alla luce della regola della utilitas contrahentium254 si comprende la degradazione della responsabilità dalla diligentia exactissima al semplice dolo nel caso particolare del negozio posto in essere nell’interesse esclusivo del comodante255.

9. La responsabilità solidale

184Assai interessante è l’opinione di Celso256, giurista del II secolo d.C., che si occupò incidentalmente della responsabilità del comodatario, in relazione a un caso particolare:

185D. 13,6,5,15 (Ulp. 28 ad ed.): Si duobus vehiculum commodatum sit vel locatum simul, Celsus filius scripsit libro sexto digestorum quaeri posse, utrum unusquisque eorum in solidum an pro parte teneatur. et ait duorum quidem in solidum dominium vel possessionem esse non posse: nec quemquam partis corporis dominum esse, sed totius corporis pro indiviso pro parte dominium habere. usum autem balinei quidem vel porticus vel campi uniuscuiusque in solidum esse (neque enim minus me uti, quod et alius uteretur): verum in vehiculo commodato vel locato pro parte quidem effectu me usum habere, quia non omnia loca vehiculi teneam. sed esse verius ait et dolum et culpam et diligentiam et custodiam in totum me praestare debere: quare duo quodammodo rei habebuntur et, si alter conventus praestiterit, liberabit alterum et ambobus competit furti actio,

186Il giurista, nel libro sesto dei Digesta, analizza la fattispecie di un veicolo comodato e locato a due persone simultaneamente e pone il problema se si possa dubitare che ciascuna di esse sia tenuta in solido o per la propria parte soltanto257.

187Celso risolveva il problema nel senso della responsabilità in solido dei due comodatari, «in considerazione del fatto che il comodante, manifestando il proprio assenso alla proposta negoziale dei due comodatari (simul), aveva consegnato ad entrambi … il veicolo richiesto, confidando sulla lealtà di entrambi i richiedenti in ordine alla puntuale ed integrale restituzione del veicolo stesso»258.

188Il dolo è menzionato accanto alla custodia e alla diligentia259. Alcuni giuristi classici propendevano per rendere responsabili pro parte i singoli comodatari, mentre altri, fra cui Celso seguito da Ulpiano, erano inclini a tenerli responsabili in solido, in modo però che, conclusa la litis contestatio con uno di essi, gli altri fossero liberati260. Trattandosi di una vettura comodata a due persone, ciascuna di esse aveva effettivamente l’uso della metà del veicolo, perché una sola persona non poteva occupare la vettura intera. Celso afferma che si tratta di rispondere in totum di dolo, colpa, diligentia e custodia261.

189Secondo il giurista ciascuna persona doveva essere responsabile in solido del dolo, della colpa, della negligenza e della mancanza di custodia262. Quindi queste due persone erano assimilate a due condebitori solidali e se una di esse, essendo stata chiamata in giudizio, avesse pagato la condanna, l’altra sarebbe stata liberata.

190Al di là del tema della responsabilità solidale dei comodatari, il passo citato pare rilevante anche ai fini di stabilire il titolo di responsabilità degli stessi in quanto fa riferimento, quanto ai criteri di imputazione, al dolo, alla colpa, alla diligenza e alla custodia.

191Anche qui la critica interpolazionistica ha considerato non classico il richiamo alla diligentia: ciò non è possibile in quanto se la custodia fosse l’unico criterio di responsabilità del comodatario non si spiegherebbe come mai la diligentia sia stata aggiunta invece che sostituita alla custodia263. In questo frammento emerge invece una nuova progressione, quella del dolus et culpa et diligentia et custodia, che lascerebbe intendere come per Celso la diligentia fosse un termine intermedio tra la culpa e la custodia.

10. Conclusioni

192Le affermazioni della dottrina tradizionale frutto dell’analisi delle fonti più rilevanti partivano dal presupposto di uno sviluppo inesatto e schematizzato che poneva in contrasto un diritto preclassico e classico ritenuto omogeneo, dove prevaleva una responsabilità per custodia del comodatario, con un diritto posclassico e giustinianeo che si presumeva avesse sistematicamente interpolato le fonti sotto l’influenza del diritto tardo e bizantino264 (si pensi per esempio al ricorrere frequente del termine diligentia).

193Applicando un nuovo approccio alla ricerca, sia casistico che diacronico, si può giungere alla conclusione che non possono più essere tenute per buone le opinioni relative alla responsabilità del comodatario finora sostenute265. Questo vale soprattutto per la teoria secondo cui il comodatario, nel periodo preclassico, dovesse essere responsabile non solo per colpa ma anche per custodia266.

194La materia invece, nel corso dei secoli, è stata oggetto di ius controversum e i criteri di responsabilità hanno variato a seconda del periodo storico considerato, della sensibilità del giurista, della fattispecie analizzata e infine del singolo inadempimento.

Aufsatz vom 22. Mai 2020
© 2020 fhi
ISSN: 1860-5605
Erstveröffentlichung
22. Mai 2020

DOI: https://doi.org/10.26032/fhi-2020-002

  • Zitiervorschlag Federica Bertoldi, Inadempimenti del comodatario e profili di responsabilità nel diritto romano (22. Mai 2020), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net2020-05-bertoldi