Zeitschrift Rezensionen

Rezensiert von: Elisabetta Fiocchi Malaspina*

Antonio Banfi, Massimo Brutti, Emanuele Stolfi (a cura di), Dall’esegesi giuridica alla teoria dell’interpretazione: Emilio Betti (1890-1968) RomaTrE -Press, Roma 2020 , 329 p., ISBN 979-12-80060-21-1

1I cinquant’anni dalla scomparsa di Emilio Betti (1968-2018) sono stati l’occasione per la celebrazione del pensiero e dell’attività dell’illustre giurista, attraverso l’annuale convegno dell’Istituto Emilio Betti di scienza e teoria del diritto nella storia e nella società1, tenutosi presso l’Università di Bergamo dal 25 al 27 ottobre 2018, i cui contributi sono stati raccolti nel volume edito da Antonio Banfi, Massimo Brutti ed Emanuele Stolfi2. L’analisi verte in particolare sull’elaborazione della teoria generale dell’interpretazione di Betti, con una prospettiva interdisciplinare, in una cornice più ampia che per Betti rappresentava „un’intima percezione della totalità del sapere” (p. 8), nella costante consapevolezza che fosse possibile superare le „barriere giuridiche” per la formulazione dei principi giuridici.

2I saggi dialogano tra loro mettendo in luce le diverse fasi della vita e del pensiero di Betti, individuando, tra i molteplici temi, la concezione della teoria ermeneutica generale, la sua posizione in merito alla comparazione e il ruolo il giudice dinnanzi all’interpretazione della norma, attraverso un attento esame storico-giuridico.

3Italo Birocchi concentra la sua disamina sul giovane Betti, propenso a „leggere avidamente e di tutto” (p. 10), forse senza un ordine apparente, che in realtà avrebbe avuto un senso compiuto negli anni della sua maturità scientifica. La teorizzazione del complicato e complesso problema interpretativo nasceva in Betti come una vera e propria risposta all’attività in cui concretamente operava il diritto, argomento che ebbe occasione di riprendere durante il periodo fascista. A sorreggere quest’idea vi era la necessità che non si procedesse alla frammentazione e specializzazione del diritto, ma lo si concepisse come un fenomeno unitario, attraverso un attento studio ad esempio delle teorie di Friedrich Schleiermacher, filosofo per eccellenza dell’interpretazione.

4Dopo il secondo conflitto mondiale, come efficacemente descritto da Massimo Brutti, Betti tra il 1944 e il 1955 è testimone di un’Europa e un’Italia radicalmente cambiate: egli affronta le sfide e le contraddizioni del suo presente e legge criticamente le vicende politiche e il loro impatto, senza mai perdere di vista il ruolo che la scienza giuridica avrebbe potuto avere. Un momento cruciale della sua vita fu il procedimento di epurazione che venne chiuso formalmente nel giugno 1946, quando la Commissione nazionale di epurazione per l’Università lo prosciolse. Nel 1948 Betti, infatti, a seguito di questa vicenda, ebbe modo di precisare maggiormente il campo di indagine interpretativo con la prolusione romana intitolata Le categorie civilistiche dell’interpretazione, in cui propugnava una teoria dove fosse „possibile pensare l’oggettività dei valori e dare all’attività conoscitiva una struttura comune e accessibile” (p. 59). Il concetto dell’oggetto e dell’oggettività nell’evoluzione dell’ermeneutica di Betti viene analizzato da Giuseppe Zaccaria, che si interroga su come oggi sia possibile affrontare criticamente il suo pensiero e per quali motivi la sua teoria interpretativa sia rimasta paradossalmente „isolata”. Il cuore della teoria bettiana è costituito dalla tensione tra soggetto-oggetto e l’oggettualismo assiologico, per poi confluire nel problema dell’applicazione, di cui Betti sembra non dare delle istruzioni specifiche. Secondo Zaccaria la mancata fortuna dell’ermeneutica elaborata da Betti è riconducibile in parte alle teorie di Hans Georg Gadamer, con cui si dovettero confrontare la maggior parte dei pensatori europei (come ad esempio Derrida) e in parte anche alla complessità del suo pensiero che vede il diritto e il linguaggio, come l’oggettivazione dello spirito (p. 115).

5Antonio Banfi si concentra sui concetti di volontà, individuo e ordinamento, soffermandosi soprattutto sulla nozione di volontarismo. Per Betti „un atto è giuridico solo in quanto il diritto, volgendosi verso tale atto, lo fa in qualche modo proprio, e non in quanto singolo contingente operare legato ad una data persona e a un dato momento, bensì in quanto categoria” (p. 125). Il fulcro dell’analisi di Banfi si snoda sulla nozione di negozio giuridico e sull’eco che le teorie di Hegel ebbero su Betti, proponendo un confronto tra Betti e Karl Polanyi, il quale tramite gli scritti di Marx ed Engels, recepì indirettamente Hegel. Emanuele Stolfi riprende invece il concetto di negozio giuridico analizzando l’attività scientifica e didattica tra il 1920 e il 1930, tra l’approccio dottrinale e quello casistico. In particolare, mette in luce la dogmatica bettiana, identificata non come statica e senza tempo ma al contrario dinamica e storica, intesa come una „dogmatica integrale”, raggiungibile soltanto ponendo „la teoria al cimento con la pratica casistica” (p. 150).

6Con Antonio Carratta la disamina si sposta sul ruolo del giudice e dell’interpretazione in ambito processuale, partendo dal significato che assumono i criteri ermeneutici bettiani relativi all’oggetto, all’autonomia e all’immanenza. L’esame verte sulla mancanza di specifiche disposizioni interpretative in ambito processuale, sulla natura strumentale della norma processuale rispetto a quella sostanziale e sulle possibili conseguenze. Il giudice infatti è tenuto a ricostruire la norma posta ad indicare e ad illustrare la sua attività, al fine di risolvere la controversia, tenendo in considerazione „la giusta composizione degli interessi in conflitto” (p. 171).

7Il saggio di Carlo Nitsch illustra il complesso rapporto intellettuale tra Benedetto Croce e Betti, a partire dalla prolusione intitolata Diritto romano e dogmatica odierna, che Betti pronunciò presso l’Ateneo milanese nel novembre 1927. In essa Betti si confronta con il pensiero di Croce contenuto in Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale nell’articolata dimostrazione dell’”affinità naturale” tra l’arte e il diritto. Betti intende precisare come il diritto sia il frutto di un’incessante opera di applicazione delle norme giuridiche, mettendo in risalto il ruolo svolto dallo storico (del diritto), teso ad investigare l’essenza del fenomeno giuridico.

8Francesco Petrillo esamina i riferimenti a Savigny e a Schleiermacher all’interno della Teoria generale dell’interpretazione: entrambi consentiranno a Betti di sviscerare diverse problematiche ermeneutiche a partire dalla contestualizzazione storica del diritto positivo, allo studio dell’efficienza della norma giuridica e alla corrispondenza necessaria della norma con il sistema costituzionale dello stato di riferimento. Petrillo rileva che il metodo delineato da Betti, grazie all’influenza degli studi ermeneutici tedeschi del primo Ottocento pur „prendendo le mosse dal diritto privato”, riconosce „la rilevanza del rapporto tra volontà soggettiva e criteri certi e dati, prestabiliti dommaticamente” e „capace di prospettare una sua propria validità e quindi un procedere tendenzialmente sicuro nel decidere” (p. 230). Luca Vargiu si interroga se sia possibile parlare di una vera e propria estetica bettiana. Per rispondere alla domanda viene illustrato il ruolo che l’estetica svolge per l’ermeneutica, concentrando l’attenzione soprattutto sulla creazione artistica, intesa come concetto ermeneutico e „l’altro lato dell’interpretazione” (p. 240). La concezione bettiana, pur determinata dalla cultura tedesca nel campo dell’estetica, risente soprattutto anche del ruolo che ebbero Croce, Baratono, il fratello Ugo Betti nonché Calogero e Banfi.

9Emilio Betti e la comparazione giuridica sono al centro del saggio di Mauro Grondona, che mette in luce il suo insegnamento all’estero nella materia di diritto privato comparato, in particolare obbligazioni e contrattualistica. Tra gli anni 1957/1958 e 1962/1963 Betti all’Université du Caire e Alessandria e anche all’Université D’Ain Chams insegnò diritto comparato, i cui corsi furono pubblicati successivamente nel 1958 e nel 1965. Grondona precisa che la comparazione giuridica deve essere intesa come „traiettoria metodologica e prospettiva di approccio al diritto […] e non già quale sinonimo di diritto comparato” (p. 256); per Betti il metodo comparativo sarebbe servito per comprendere e rendere pienamente accessibile il diritto, migliorandone di conseguenza la sua applicazione, con ripercussioni sull’interpretazione giuridica stessa.

10Francesco Zanchini di Castiglionchio illustra il pensiero di Betti in relazione all’interpretazione teologica nella tradizione occidentale, attraverso un’approfondita analisi del pensiero cristiano e con una ricostruzione storica e filosofica. Viene esaminato il parallelismo nell’itinerario della ricerca di Betti e di Giuseppe Capograssi, per poi soffermarsi su quelli che furono i „raccordi comparatistici principali nella memoria storica di Betti”. Prendendo in considerazione diversi momenti della storia europea, Zanchini di Castiglionchio riflette che „l’indagine di Betti è passata man mano ai luoghi e ai modi, in cui la Presenza appare, storicamente, nelle forme di un ‘Dio di giustizia’” (p. 298). Angelo Antonio Cervati sviscera il rapporto di Betti con i mutamenti della cultura giuridica europea novecenteschi; la visione bettiana fortemente realistica unita alla sua attenzione per la storia giuridica lo spinse in qualche modo a “estraniarsi” dinnanzi all’Europa dilaniata dai conflitti mondiali. Cervati acutamente mette in luce come la teoria interpretativa elaborata da Betti sia servita per un esame della tipicità dei fenomeni giuridici tanto nel diritto privato, quanto in quello pubblico internazionale.

11Il prestigioso volume si conclude con uno sguardo al Betti „globale” e in particolare sull’impatto e sull’attualità del suo pensiero in America Latina. Leysser León-Hilario dapprima analizza la circolazione delle opere italiane di diritto privato ad opera di autorevoli giuristi come Francesco Carnelutti e Nicola Coviello, per poi soffermarsi sulle traduzioni spagnole dei lavori bettiani, come ad esempio l’edizione spagnola del 1948 della Teoria generale del negozio giuridico. Lo spinoso e complesso tema del negozio giuridico pensato, perfezionato da Betti, costituiva il risultato di approfonditi studi e della sua maturità scientifica, che era parte integrante di quella formazione onnicomprensiva e non settoriale.

Rezension vom 9. Februar 2021
© 2021 fhi
ISSN: 1860-5605
Erstveröffentlichung
9. Februar 2021

DOI: https://doi.org/10.26032/fhi-2021-004

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